Per fortuna c’è Picasso. È il primo pensiero che mi è venuto uscendo dalla mostra che ha restituito finalmente Palazzo Reale di Milano alla sua dignità. Sono i quadri traslocati dal museo parigino dell’Hotel Salé, quindi il gioco è stato facile. Ma averli sotto casa è pur sempre una bella sensazione; e l’allestimento sobrio e spazioso studiato da Lupi, Migliori e Servetto scandisce il percorso con un ritmo che esalta l’individualità delle opere e crea degli insiemi in cui nessun quadro si accavalla sull’altro. Insomma Picasso è messo in condizioni ideali per colpire e affondare ogni nostra più riposta riserva nei suoi confronti.
Qualche piccola nota. Guardate quanti quadri tra quelli in mostra siano datati al giorno/mese/anno. Fatti in un lampo, con una facilità/felicità che sembra perdurare ancora davanti ai nostri occhi. L’indicare il giorno di esecuzione è un gesto di spavalderia, come una sfida al tempo per dimostrare di essere stato più veloce di lui. Così facendo Picasso scassa le regole che tengono il presente lontano da quel passato. La data indicata è sempre un “appena ieri”.
È evidentemente meravigliosa la sala degli anni 20 con le Donne che corrono sulla spiaggia (notate l’apertura a compasso di braccia e gambe della donna in secondo piano: uno slancio totale e senza riserve verso la vita); a fianco c’è uno dei quadri più belli della mostra, la Danse Villageoise. Un lui e lei, di una potente gioventù, allacciati in una danza d’altri tempi: ma qui Picasso va oltre l’esercizio di forza che gli riesce sempre in maniera paurosamente facile. Nello sguardo del ragazzo infila qualcosa che non era nel copione: lui non guarda lei, a cui pure è allacciato con un gesto che dichiara un affetto senza tentennamenti. Lui scruta davanti a sé, con una venatura di controllatissima inquietudine. Si legge in profondità come uno struggimento sul suo volto. Scruta il futuro, la strada che lo attende, i passi da fare. Non si crogiola nella felicità del presente, pur avendone tutte le ragioni. Gli è istintivamente chiaro che il vero senso di quell’istante è di svelare una promessa: e a quella lui guarda. Davvero un grande quadro, memorabile per l’idea di uomo che sa esprimere (un’idea che sarebbe piaciuta a Péguy; a proposito, avete notato che quel casuale alone azzurro attorno al volto sembra un’aureola mediterranea…)
Ed è bellissima la sala che segue, la più delicata perché arriva dopo gli anni top, quelli a cui Picasso era riuscito di mettersi nella scia di Giotto e Masaccio. La sala ha solo quattro quadri, tutti improvvisamente sgorganti colori a piene mani. Sono quattro finestre spalancate sulla bellezza femminile; corpi annodati con una felicità che va oltre ogni impudicizia e mette per una volta a tacere la prepotenza sessuale di Picasso. Quattro canti accesi dalla luce di quel sole che s’affaccia alle spalle del Nu à Boisgeloup.
Ma è come sempre solo una tappa. Alla fine degli anni 30, altro giro di danza: Picasso già torna a dipingere corpi come con la clava, a smontarli per possederli, o meglio per dimostrarne l’interiore potenza…
Qualche affondo su catalogo? Francesco
Francesco
12 Ott 12 at 7:26 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Devo ancora vederlo. Poi ti dico
gfrangi
12 Ott 12 at 8:30 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>