Più la guardo e più la copertina del nuovo libro di Giovanni Romano (Rinascimento in Lombardia, Feltrinelli) mi sembra di una bellezza strepitosa. La scelta dell’immagine è caduta su un quadro di Foppa, il San Gerolamo della Carrara. La tavola è tagliata al centro dal tassello bianco del titolo. Sul margine sinistro e in altro compare la sottile banda nera che fa quasi da cornice al quadro e che lo racchiude con una sorprendente energia grafica. Il quadro vibra di una potenza luministica che buca la pagina e che spiazza rispetto ad ogni riferimento temporale. È un’immagine di cinque secoli fa ma che riaffiora senza sentire il peso del tempo.
Sul San Gerolamo Longhi aveva scritto cose straordinarie, sottolineando quell’imprevedibile e inedita luce laterale che ne faceva il “primo quadro caravaggesco della storia”. Mi viene da aggiungere che quella luce s’annida tutta in uno spazio piccolo, contratto, nervoso. Che deve lottare, perché lo sporco e l’opacità della terra non le fanno sconti. S’accende senza potersi liberare dell’umidità di cui è intrisa tutta l’aria, per cui fanno ancora più specie quelle vittoriose particelle che scintillano nel cielo dell’alba; o quelle filature dorate che, come scrive Romano, disegnano “la groppa della montagna”. Poi c’è lui, il Gerolamo dalla scorza dura, caparbio nella sua alternatività ad oltranza. È padrone della situazione in quella location sfrondata da ogni comodo. È insieme saldo e border line. Un quadro che si “singolarizza”, aveva scritto con la consueta genialità Longhi. Foppa aveva preso di petto la sfida lanciata da Leonardo con la prima Vergine delle Rocce, e l’aveva risolta da par suo, senza fare mezzo passo indietro. La luce imprendibile di Leonardo diventa in lui un fascio nervoso di filamenti guizzanti. Nodi di realtà accesa. Che portati in copertina, la invadono di una tensione che tiene inchiodati i nostri sguardi.