Robe da chiodi

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Tano Festa, quando l’arte era ancora inquieta

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Sarebbe davvero da non perdere la mostra di Tano Festa e di Francesco Lo Savio, organizzata a Karlsrühe in Germania (strano e imprevedibile approdo per due anime che più romane di così non si potrebbe: a proposito, ma il MaXXi che ci sta a fare???). Fratelli a dispetto dei due cognomi, uno subì come ferita indelebile la morte prematura dell’altro (Francesco Lo Savio). Anche Festa morì presto, non ancora cinquantenne. Biografie folgoranti, lacerate come da una troppa felicità intuita, a tratti sperimentata, ma poi sfuggita via via di mano. Caratteri diversi, Lo Savio portato verso un minimalismo quasi afono, l’altro capace di una pittura vitale, clamorosamente mediterranea. Tano Festa in una breve intervista messa sul sito della mostra dice che la pittura deve essere amata: lo si capisce dai suoi quadri quanto lui l’amasse (e la faccia ancor oggi amare da noi). Qui trovate un articolo di Repubblica sulla mostra. E qui una bella intervista di Artribune al curatore.
Ma oggi quel che colpisce di questi artisti e di quella stagione è il fatto che non si sentissero mai a posto. Inquieti di un’inquietudine che teneva le loro vite sulla brace. Non avevano nessuna preoccupazione di gestire carriere, mercato o immagine. Erano artisti con la vita allo sbaraglio. Una dimensione che oggi manca, sostituita da un calcolo e da un’accurata presa di distanza da ogni buco nero della vita. Oggi gli artisti si sentono investiti del compito di dire la cosa giusta sul mondo. Tenendosi però a distanza di sicurezza: se dramma passa, viene governato e gestito con i guanti dell’ironia o del pensiero corretto. Ieri invece con la loro carica umana e poetica gli artisti volevano sfondare il mondo, più che aggiustarlo.
Devo dire che provo un po’ di nostalgia. Perché così facendo magari perdevano, ma la bellezza sgorgava istintiva, imprevista e a piene mani. Rivedete Tano Festa per convincervi.
Oppure leggete questa sua poesia.

IL VASCELLO FANTASMA
Un tempo
come un gagliardo veliero
la prora fendendo
marosi schiumanti di rabbia marina
solcai tutti i mari
Poi,
nel fare ritorno verso le mie coste
a poca distanza dalla riva
la chiglia si arenò
sopra di una secca
Ogni giorno i flutti
delle onde che lambiscono
lo scafo, ormai immobile,
lo corrodono lentamente
con la salsedine che sopra vi s’incrosta
Di notte l’alta marea mi sommerge
e il giorno dopo
riappare il veliero
sempre più bianco e azzurrino
da confondersi con il riverbero
del sole
e dalla riva nessuno lo scorge
anche se io
scorgo la riva
con le figure che vi si agitan
le imbarcazioni leggere
che si distaccano da fragili pontili
per gite brevi e predestinate
quindi con un ritorno sicuro,
anche se i schiocchi freschi e secchi
delle vele appena issate
lascerebbero supporre viaggi diversi
con mete da fissare…….
e così ogni giorno e ogni notte…….
fino a quando una marea
più insidiosa delle altre, buia e densa
frantumerà il vascello
che con uno scoppio lento e stupito
calerà lentamente sul fondo
spargendo
i suoi frammenti
fra le alghe e gli ossi di seppia
e gli altri detriti marini
che la corrente del mattino
porterà lentamente a riva
per depositarsi sulla ghiaia
scintillante al sole
del bagnasciuga

Written by gfrangi

Luglio 5th, 2011 at 7:28 am