Oggi, Annunciazione. Era il Capodanno fiorentino, perché a Firenze nel 400 oggi era l’inizio dell’anno. Che sia un giorno dell’inizio di tutto lo si può capire quasi per deduzione, passando in rassegna ciò che su questo soggetto gli artisti nei secoli sono riusciti a produrre. Non credo ci sia un altro soggetto che abbia al suo attivo tanti capolavori mozzafiato: anche perché la visualizazione dell’Annunciazione a differenza di tutti gli altri episodi della storia di Cristo, implica uno sporgersi verso un fatto che c’è ma che non si vede. Una presenza che determina tutto, ma che fisicamente non appare.
È un soggetto arduo, affascinante, con tutte quelle dinamiche misteriose ma umanamente così vere davanti al quale è difficile fare routine. Penso che per un artista mettersi davanti alla rappresentazione dell’Annunciazione abbia sempre significato toccare il punto cruciale del proprio essere e del proprio fare. L’Incarnazione è infatti l’attimo in cui le immagini cambiano di statuto. E da semplici illustrazione o racconti diventano luoghi di rappresentazione del destino. Diventano contenitori visibili e circoscritti di un “tutto”. Questo conferisce una potenza alle immagini stesse, una capacità di sfondamento, che va oltre ogni ipotesi prevista e prevedibile.
Per questo l’Annunciazione ha prodotto tanti capolavori che sono un passo oltre: cioè che spingono gli artisti a tirar fuori tutto se stessi e a stabilire una tensione poetica inattesa.
Vi faccio un semplice elenco e capirete: Tiziano, Annunciazione di San Salvador; Francesco Mochi, Orvieto; Jacopo della Quercia, Pienza; Donatello, Tabernacolo di Santa Croce; Simone Martini, Cortona; Beato Angelico, a San Marco; Antonello, Palazzolo Acreide- Siracusa; Lotto, Ponteranica; Pontormo, Santa Felicita; Gaudenzio, cappella di Varallo.
Nel 1900, c’è il cinema, con Godard. E c’è Gerard Richter che torna sull’Annunciazione di Tiziano. Ma mi è sempre questa sua immagine, Betty: ipotesi di lavoro per un’annunciazione contemporanea.