Anche l’Osservatore Romano “beatifica” Andy Warhol, con un articolo di Sandro Barbagallo che prende spunto dalla conferenza tenuta a Roma di Alain Cueff, studioso francese che ha curato un bel volume che raccoglie le interviste di AW. Devo dire che questa riscoperta del coté religioso di AW inzia un po’ a stufarmi. Mi sembra un tentativo tardivo e un filino patetico di recuperare alla parrocchia un grande del 900. L’aspetto più debole di questa operazione sta nel fatto che fa leva su aspetti biografici, che sono veri e hanno anche risvolti commoventi, ma che non si capisce bene che implicazioni abbiano sulla cosa che conta, cioè sulla sua arte. Si insiste sull’ultima mostra, quella dedicata all’Ultima Cena di Leonardo, tralasciando il fatto che questa mostra non presenta nessuna novità dal punto vista dello stile, né dell’approccio al “prodotto” artistico. (“non prendere mai Warhol alla lettera”, suggeriva il suo amico John Richardson, nel celebre elogio funebre pronuciato nella cattedrale di Saint Patrick a NY).
Ultima Cena e zuppa Campbell, per Warhol, continuano ad essere la stessa cosa. O a proporre lo stesso problema (parola che a Warhol farebbe orrore…). È una faccenda che non va liquidata troppo in fretta, ma che ha a che fare con la permanenza dell’idea di icona dentro il dna di Warhol (il suo cattolicesimo era di matrice orientale ortodossa). L’icona da una parte è frutto di un processo produttivo automatico (mette le briglie alla soggettività di chi le realizza, per dar forza e credibilità all’idea che quell’immagine non sia frutto di fantasie degli uomini); dall’altra è, per conseguenza, seriale. Automatismo e serialità sono due cardini della’rte di Warhol. Il fatto è che Warhol applica questo codice a immagini e oggetti che sono transitori per statuto (oggetti di consumo: il ciclo dell’Ultima Cena venne ispirato da un gadget della General Electirc). Perché? Che cercasse schegge di eterno laddove l’occhio sociologico “estetico” di tutti vedeva solo “brutte cose”? Io penso che questa sia una buona ipotesi. Che oltrettutto aiuta a spiegare la forza impressionante che a volte quelle immagini così stereotipate e banali, riescono ad assumere.
La foto in alto, è una polaroid di AW, 1981. Titolo: «Madonna and child»