Arriva a Milano il Caravaggio girovago, la prima Conversione di Saulo, unica sua opera conservata su tavola ( e che quindi sarebbe augurabile viaggiasse un po’ meno (era approdata a Bergamo solo quattro anni fa). Le esposizioni “one painting show” centrate solo su un’opera sono una ricetta che piace sempre di più: i costi sono moderati, l’organizzazione semplice, il pubblico non si stressa. In tempo di usa e getta sembra la soluzione più consona.
Caravaggio. Ovviamente scatena le interpretazioni più insulse e i racconti più antistorici. Come le baggianate riproposte da Dario Fo, in apertura delle quattro pagine, pagate dallo sponsor, che il Corriere ha dedicato alla mostra. Il quadro Odescalchi (dal nome della padrona attuale) non è figlio di un rifiuto della committenza, per il semplice motivo che il committente, come ha dimostrato Luigi Spezzaferro, aveva visto e approvato un bozzetto dell’opera (di “specimina” si parla nel contratto) e che era morto poco dopo la firma del contratto. C’è quindi un inghippo di cui non conosciamo i contorni, ma che è stupido pensare non abbia anche qualche risvolto di carattere stilistico: non è un caso che Longhi portando il quadro alla grande mostra di Milano, lo avesse anticipato di date, quasi non c’entrasse con la committenza Cerasi. Tra l’altro dalla tavola (che era prevista dal contratto) Caravaggio passa poi alla tela per la versione definitiva. Spezzaferro sintetizza dicendo che doveva essere trattato di un caso di “autorifiuto” da parte di Caravaggio.
Ma è bello rileggere le parole del critico romano, morto improvvisamente lo scorso anno: «…Caravaggio rappresenta il momento in cui Saulo appena colpito e caduto da cavallo, sta ancora tentando (con il gesto istintivo di ripararsi gli occhi nonché con il movimento altrettanto istintivo del busto che cerca di risollevare le spalle da terra per rovesciare il corpo a pancia sotto) di difendere la propria umana fisicità e di opporre così l’ultima e istintivamente naturale possibilità di resistenza all’incomprensibile e insopportabile forza che l’ha colpito».
Nella seconda versione, quella oggi nella cappella di Santa Maria del Popolo, Cristo scompare, Paolo è colto nell’attimo successivo e sembra abbracciare la luce che gli viene addosso. Ma non è una versione edulcorata. Come dice sempre Spezzaferro: «Merisi sembra comprendere che il simbolo della luce, mondanamente parlando, o lo si accetta nella sua corporea fisicità –nella sua epifania naturalistica – o non ha senso».