Robe da chiodi

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La meraviglia delle Madonne in sottoveste

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Si annuncia davvero sorprendente la mostra che apre sabato a Sondrio sulle Madonne vestite in Valtellina (al Museo valtellinese di storia e arte, sino al 26 febbraio). È una mostra che racconta un fenomeno al crocevia tra arte, fede e antropologia; un fenomeno che ad un certo punto ha subito un drastico oscuramento, quasi contenesse qualcosa di proibito. Quasi ci fosse un eccesso di confidenza non autorizzata con le figure sacre. A rivederle oggi questi manufatti commuovono per una dimensione opposta: quella della familiarità con queste figure, trattate alla stregua di figlie da vestire per il grande giorno della festa.
Merito della mostra è di Francesca Bormetti, una studiosa di territorio che una decina di anni fa, studiando le chiese di Mazzo di Valtellina, nella soffitta di una di queste chiese, fra materiali di ogni tipo, s’imbattè in una statua manichino che doveva essere con ogni evidenza una Madonna addolorata. L’abbandono nella soffitta era sintomatico di un’emarginazione dalla memoria collettiva, non per effetto del tempo ma per effetto di qualche deciso segnale da parte delle autorità. Attorno a queste statute era stata fatta insomma terra bruciata e per la Bormetti si è trattato di ripartire da zero. Ma ne valeva la pena, come dimostra l’esito della mostra valtellinese.
E come dimostrano queste foto che ho voluto selezionare (la mostra è curatissima in ogni particolare, anche nella campagna fotografica, bellisssima affidatata a Massimo Mandelli). Le due statue che vedete in realtà è la stessa. A sinistra, si vede il manichino della Madonna del Carmine di Val del Rezzaro, a destra la stessa Madonna “vestita”. Non c’è nulla di scabroso in questa spogliazione; mi colpisce ad esempio la delicatezza di quello scabro bustino in tela grezza, allacciato sul retro con allacciatura incrociata. Una sorta di sottoveste messa quasi per un sussulto di pudore, che però rende ancora più familiare e domestica quella presenza. Il volto un po’ da bambola, è di una dolcezza che non si lascia soffocare dall’evidente standardizzazione del manufatto. Siamo su un terreno che è difficile definire – grande artigianato, devozione, e anche poesia -; mi sembra che queste Madonne emergano per l’accumulo di affetto e di speranze che hanno catalizzato. Spogliandole, rivestendole, muovendone le articolazioni snodabili è come se restituissero tutta l’umanità che le aveva fatte, pensate e venerate. Vi assicuro che non è poco.

Written by gfrangi

Dicembre 7th, 2011 at 10:51 pm