Torno su Rembrandt. Mi sono procurato il catalogo, bellissimo e anche a modico costo (39 euro); pubblicato da un editore italiano (Officina libraria, di Marco Jellinek e Paola Gallerani) e stampato benissimo a Firenze. Evviva. È un adeguato supporto a una mostra che più ci si scava più si svela interessante e sorprendente. Ad esempio non sapevo che questa importante serie di “ritratti” di Cristo siano satti sempre un po’ tenuti ai margini del catalogo di rembrandt. Per questo nelle monografie non capita mai di vederli. Eppure i documenti parlano chiaro. Sentite questo: nell’inventario fatto nel 1656 dopo che Rembrandt si era rivolto al tribunale per evitare il fallimento, risultano appesi in casa sua ben tre di questi “ritratti”. Il notaio è preciso anche nel dire in quali stanze si trovassero e nel riferirli proprio al maestro. Il terzo in particolare lo decrive così: «Een Cristus tronie nae’t leven». Cioè, «una testa di Cristo dal vivo». I curatori traducono «d’après nature». La cosa ha creato un po’ d’imbarazzo nei critici, che o hanno tralasciato quel “nae’t leven”, o l’hanno interpretato come “a grandezza natura”. Invece letteralmente il notaio intendeva dire che quella testa di Cristo era stata fatta con “un modello vivente”. Non è un Cristo immaginato quello di Rembrandt. È un Cristo vero, come se sentisse la necessità di renderlo per sé vicino e visibile nel momento in cui la Riforma ha fatto piazza pulita delle immagini, della devozione e soprattutto della presenza di Cristo sull’altare. E proprio perché obbedisce a una necessità personale, che è anche un Cristo semplice, umile nei suoi atteggiamenti, quasi clandestino. Un Cristo personale, visto che dalla scena pubblica come volto era stato bandito. Proprio per questo tanto intenso. Seymour Slive curatore della mostra parla di un Cristo che colpisce per «la sua umiltà, la sua docezza, la sua vulnerabilità». È la miglior sintesi possibile.
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Ancora Rembrandt. Quei quadri clandestini
Guide ai custodi e I Pod Touch ai visitatori
Da un’intervista pubblicata sulle pagine milanesi di Repubblica vengo a sapere che gli amici editori dell’Officina Libraria, Marco Jellinek e Paola Gallerani, dopo il successo dell’edizione italiana del catalogo del mostra di Mantegna al Louvre, hanno avuto un’altra importante e innovativa committenza dal museo parigino. È la guida per i custodi: un vademecum tascabile fuori commercio, molto agile da consultare con tutte le informazioni fondamentali per rispondere alle domande più frequenti dei visitatori. È un’idea semplice che rende poli attivi quelle persone a cui sino ad ora è stato assegnato un compito solo di sorveglianza. Chissà quale sarà il primo museo italiano a raccogliere la sfida? Motivare le persone, far capire anche ai livelli più bassi di responsablità che il patrimonio culturale non è una mucca da mungere ma un bene da tenere curato, soprattutto nei particolari sarebbe un grande scatto di civiltà. Proprio nelle settimane scorse, a Brera, in occasione dell’anomalo afflusso di visitatori per i tre quadri di Caravaggio arrivati, avevamo notato i custodi allo sbando. Quasi infastiditi che la pigra routine del museo fosse stata interrotta. Per il bene nostro e loro sarà bene che recuperino la coscienza e l’orgoglio del proprio ruolo.
Un’altra buona notizia, a proposito di idee innovative, viene da Venezia. Una mostra sull’arte etiope è stata presentata a Ca’ Foscari facendo un uso finalmente intelligente e ragionato della multimedialità, con guida su Ipod Touch e videointerviste al principale studioso, il novantenne polacco Stanislaw Chojnacki che compaiono nelle sale come ologrammi a grandezza naturale. Il percorso così è pensato come una sceneggiatura che ottiene il risultato di operare una riduzione immediata delle distanze tra l’immaginario espresso dagli oggetti e dal mondo racontato dalla mostra e l’immaginario di un visitatore contemporaneo. Come scrive con una punta di orgoglio uno dei curatori, Giuseppe Barbieri, «i materiali di arte etiopica proprio nel rapporto con la tecnologia multimediale rivelano una straordinaria forza di suggestione e la loro antichissima modernità». La mostra si avvale del contributo dei maggiori conoscitori della materia, tra cui Gianfranco Fiaccadori, che per il catalogo ha realizzato un saggio di una densità e di una riccheza di riferimenti davvero non abituale. Per avere un’idea della novità concettuale della mostra guardate il sito.