Ho approfittato della sosta ferragostana per una lettura che durante l’anno sarebbe complicata: il Leonardo a Milano di Alessandro Ballarin. Ovviamente è solo un inizio di lettura di un’opera immensa (quattro volumi, 2900 pagine, 2700 illustrazioni, 22 chili di peso…). Ho letto le 200 e passa pagine dedicate alla questione delle due Vergini delle rocce e la prima parte della Corte e il castello. È raro che la lettura così specialistica riesca a prendere l’attenzione anche di un non specialista. Ballarin attorno a questa vicenda, che fotografa un momento straordinario della vita di Milano ma non solo di Milano, avanza con una completezza di sguardo che lascia stupefatti. Non lresta inevaso niente e non restano zone d’ombra nel suo percorso. Se è il caso apre capitoli di dimensioni tali che da soli costituirebbero affascinanti saggi (ad esempio quello sul battistero di san Johannes ad fontes a Milano, che sorgeva dove poi Azzone costruì la cappella palatina – oggi san Gottardo in Corte: affondo importante per scavare nelle ragioni e nell’iconografia della prima Vergine delle Rocce, quella parigina. Qui il significato battesimale è molto esplicito).
Ma ci sono due aspetti dello “stile Ballarin” che da profano non specialista mi piace sottolineare. Primo, la scelta di procedere senza note. Tutto è testo, e tutto è necessario. Una scelta inedita, ma che non inficia la leggibilità del testo: infatti il contenuto delle note sono trasformati in incisi che scorrono nella lettura senza soluzione di continuità. La scelta è dettata dall’idea che tutto è necessario per arrivare a uno sguardo completo sulla vicenda. Ma la scelta credo sia motivata anche da un altro fattore, che coincide con la seconda osservazione che da profano mi sento di fare. Si avverte leggendo che Ballarin, mentre scrive, ha davanti una platea di studenti e deve rendere ragione loro, ad ogni passo, delle tesi che presenta. Non c’è spazio per le note mentre si fa una lezione… E Ballarin da questo punto di vista si dimostra un maestro perfetto che usa uno stile piano, un andamento persuasivo, che non lascia ombre nei suoi interlocutori, anche se chiede loro la pazienza di seguirlo nei percorsi che non conoscono scorciatoie. Porta i suoi interlocutori dentro “quel” mondo, passo dopo passo, pensiero dopo pensiero. Mi piace, ad esempio, come a volte gli capiti di infilare nel testo raccomandazioni che sono proprie da “maestro”. Ne ho in mente due.
“Chiunque a proposito, dovrebbe conoscere le pagine nelle quali Pier Desiderio Pasolini, scrivendo dell’adolescenza di Caterina Sforza, racconta l’assassinio del padre, quel giorno, attingendo ai testimoni oculari ed alle fonti: pagine di bellissima scrittura e di forte tensione drammatica” (pag. 293; Caterina è figlia di Galeazzo Maria Sforza, il primogenito di Francesco, ucciso nel 1476).
“… rimando il lettore alla lettera 426 della citata raccolta di Rubinstein, del 18 settembre ( 1479) al medesimo Morelli, dove Lorenzo (il Magnifico), ancora febbricitante per un attacco di terzana, svolge una serie di riflessioni generali sulla nuova situazione che si è venuta a creare a Milano e in Italia con il rientro di Ludovico a Milano. È una pagina che dovrebbe essere antologizzata nei manuali di storia e che tutti dovrebbero conoscere. È una sapienza politica che egli spera di poter mettere a disposizione di Ludovico attraverso il suo ambasciatore” (pag. 285).