Robe da chiodi

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Napoli e la dimensione civile dell’arte

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A Napoli con il viaggio organizzato da Casa Testori in occasione della mostra di Tanzio da Varallo e Caravaggio (visita molto bella guidata da Cristina Terzaghi, la curatrice).
Sabato pomeriggio al Museo Archeologico, per la mostra di mio fratello, grandi arazzi che danzano nel cuore dell’immenso Salone della Meridiana. I lombardi a Napoli spesso danno spesso il meglio di sé.
È l’occasione per una visita al Museo. Una visita guidata da Luca Prosdocimo, archeologo, responsabile della didattica del grande museo. Tralascio la incredibile quantità di informazioni apprese sul corpo vivo delle opere in quasi due ore di visita. Mi colpiscono invece altri aspetti collaterali solo in apparenza. Il primo: come la qualità della preparazione di chi ci guidava fosse esaltata dalla passione nel voler comunicare. È sintomo della dimensione civile che è intimamente propria della storia dell’arte, che ha in sé una necessità di esser partecipata. Condivisione di un sapere che rende più profondo lo sguardo su di noi; che fa capire chi siamo, di quale ricchezza siamo fatti, che è dimensione ben più decisiva che pensare alla ricchezza che abbiamo a disposizione.
La nostra guida ha fatto una sottolineatura che val la pena segnarsi. Riguarda le scelte di Ferdinando di Borbone, che quando si trovò a tirar fuori dalla terra l’incredibile tesoro di Ercolano e di Pompei, decise di non “seppellirlo” di nuovo in una raccolta esclusiva e privata. La frase messa a sigillo del grande affresco apologetico del re, sul soffitto della salone della Meridiana, è programmatica: “Iacent nisi pateant”, le cose d’arte languono se non sono esposte al pubblico. Ma Luca Prosdocimo ci ha fatto notare anche il senso della grande statua di Ferdinando sullo scalone, che è ben visibile anche dall’esterno del museo, e che è nell’atteggiamento di chi invita ad entrare. Il Museo quindi come spazio aperto, perché il passato continui a parlare al presente, in quanto il presente non può fare a meno di attingere e dialogare con il passato.
Sperimentare questa consapevolezza all’interno di un museo bellissimo, allestito in modo esemplare, curato nei particolari e capace di un respiro che restituisce la grandezza della storia che vi è documentata; un museo pieno di pubblico e non di “folla”, è la miglior dimostrazione che nella storia dell’arte tutto si tiene.

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Come una città meravigliosa e scassata possa dotarsi di cose bellissime e “fuori gara” è uno dei misteri di Napoli. Il riferimento è alla nuova stazione Toledo della metropolitana, incredibile se non la vedi. Il senso di profondità è stato reso da Óscar Tusquets Blanca, immergendo i passeggeri in un mare di mosaico azzurro nel momento in cui scendendo si passa sotto la soglia del livello del mare. Un mosaico di un azzurro mosso, che ad un certo punto si apre in alto con un “buco” circolare che arriva sino alla superficie, come una sorta di grande periscopio. A questo aggiungete due mosaici di Kentridge (nella foto, il particolare di San Gennaro), la sua statua in superficie con il Cavaliere di Toledo, gli interventi di Bob Wilson e anche di “prezzemolo” Oliviero Toscani, e avrete una stazione da non credere. Una città che sembra aver bisogno di quasi tutto, spiazza tutti regalandosi un gioiello di arte pubblica. Evidentemente c’è da riflettere.

Written by gfrangi

Novembre 17th, 2014 at 6:58 am