Ho riletto ieri Il cavaliere e la morte di Sciascia. In cover c’era la grande incisione di Durer. Ed è straordinario vedere come la penna di Sciascia vada dentro l’opera del grande tedesco, esattamente come un bulino. Leggete questa pagina.
Stava intanto il Cavaliere la morte e il diavolo di Durer… gli parve prendesse, la Morte di Durer, un riflesso grottesco. L’aveva sempre un po’ inquietato l’aspetto stanco della Morte, quasi volesse dire che stancamente, lentamente arrivava quando ormai della vita si era stanchi. Stanca la Morte, stanco il suo cavallo: altro che il cavallo del Trionfo della morte o di Guernica. E la Morte, nonostante i minacciosi orpelli delle serpi e della clessidra, era espressiva più di mendicità che di trionfo. “La morte si sconta vivendo”. Mendicante, lo si mendica. In quanto al diavolo, stanco anche lui, era troppo orribilmente diavolo per essere credibile. Gagliardo alibi, nella vita degli uomini, tanto che si stava in quel momento tentando di fargli riprendere il vigore perduto: teologiche terapie d’urto, rianimazioni filosofiche, pratiche parapsicologiche e metapsichiche. Ma il Diavolo era talmente stanco da lasciar tutto agli uomini, che sapevano far meglio di lui. E il Cavaliere: dove andava così corazzato, così fermo, tirandosi dietro lo stanco Diavolo e negando obolo alla Morte? Sarebbe mai arrivato alla chiusa cittadella in alto, la cittadella della suprema verità, della suprema menzogna? Cristo? Savonarola? Ma no, ma no. Dentro la sua corazza forse altro Durer aveva messo che la vera morte, il vero diavolo: ed era la vita che si credeva in sé sicura: per quell’armatura, per quelle armi.