Robe da chiodi

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Germania, ragionamento sulle città azzerate

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Tra le tappe della galoppata agostana c’è stata anche Hildesheim. Una città a metà strada tra Kassel e Amburgo, che nei ricordi di studente è legata alle immagini del magnifico portale di bronzo dell’anno mille, della chiesa di San Michele, già abbazia benedettina, un edificio importante per la storia tedesca. L’arrivo ad Hildesheim ha qualcosa di traumatico. Si entra in una città azzerata, fatta di piccoli edifici, dall’aspetto modesto e un po’ depresso. Una città con 1300 anni di storia ridotta all’aspetto di una new town. È la costante delle città tedesche

, passate al terribile setaccio dei bombardamenti alleati tra 1943 e 1945. Ad Hildesheim toccò il 22 febbraio del 1945. L’87% del centro storico andò distrutto, si perse il patrimonio delle 1500 case a graticcio che costituivano un patrimonio storico oltre a dare l’aspetto fisico alla città. Ne resta una oggi, la Knochenhaueramtshaus, alta 26 metri, con la facciata a sbalzo, che in alto sporge di oltre due metri rispetto alla base. Non è ovviamente l’originale costruito all’inizio 1500 dalla Gilda dei macellai, ma è la copia che la cittadinanza volle rimettere insieme, con una raccolta pubblica di finanziamenti, a metà degli anni 80. Anche San Michele andò giù al 90% ed è stata ricostruita fedele nei particolari, ma ovviamente con il sapore di falso nell’insieme. Per fortuna il portale, nella mia memoria leggendario, si è salvato ed è oggi ricoverato nel museo locale, in attesa di tornare al suo posto a sistemazione completata. Su un’anta scorre la storia della creazione e del peccato originale, con le figure che sbalzano spesso a pieno rilievo sul piano lasciato libero: lo stile è di un’energia sintetica che, con elementi radi, riesce a raccontare tutto. Sull’altra anta c’è la sequenza della natività, cioé la storia del riscatto. E l’artista propone un legante commovente tra i due momenti: Eva nella prima anta, viene rappresentata mentre allatta il primo figlio Abele, con una prefigurazione chiara alla Madonna con il Bambino.. Oggi il portale è custodito nel locale museo, in attesa di tornare al suo posto a dicembre 2013.

Tornando al tema delle città, ogni volta che si entra in una città tedesca si sente il peso di questo annientamento subito e di questa riduzione drastica del passato: mi piacerebbe studiare quale dibattito si fosse innescato sul tema immane delle ricostruzione, negli anni del dopoguerra. Ma penso, a vederne gli esiti, che si sia andati avanti in ordine sparso, nella Germania per altro divisa in due. Certo mi vengono alcune riflessioni “a pelle”, confontando Amburgo e Francoforte.
Amburgo, la città divorata dalle tempeste di fuoco raccontate nel libro impressionante di Sebald, Storia naturale della distruzione (luglio 1943, 74% della città distrutta, 40mila morti tra i civili), è oggi una città magnifica, rimessa in piedi dando fiato anche a quell’enfasi che ne aveva fatto nella storia città ricca e potente. Quando si arriva in auto, si passano i grandi ponti sull’Elba e ci si immette in strade tagliate tra sequenze di palazzi forti, alti, mai casuali. Sono costruzioni che tramettono energia e anche solennità. Spesso ho notato come siano palazzi che allungano le loro facciate anche per oltre cento metri. Poi, la città prende fiato nella zona del lago per trasformarsi in dedali quasi napoletani appena ci si inoltra all’interno.
Francoforte è tutta l’opposto. Le carte se le gioca con lo skyline dei suoi grattacieli visibili a 20 km di distanza arrivando con l’autostrada da nord. Quando si entra in città l’effetto è brutalmente sciatto. I grattacieli sono delle fortezze (bancarie) costruite quasi tutte male, solo per dare uno sfoggio egemonico. Sono sovraccarichi di elementi, di una ridondanza un po’ lasvegasiana. Ma qui è tutto cemento e pietra, niente cartapesta. Anche Foster che ha progettato il grattacielo della Commerzbank, finisce macinato. Il resto della città (distrutta al 70% nel 1943; centro storico azzerato) è di un’architettura minimale e depressa, tutta obbediente alle funzoni e svuotata da ogni tentativo di conferire una chiave simbolica a ciò che si stava per costruire. Si vede un po’ di cultura rimediata dal Bauhaus. Ma a ciascuno il suo: e io al Bauhaus non affiderei mai la ricostruzione del centro (cioé del cuore) di una città.

Amburgo

Francoforte

Written by gfrangi

Agosto 15th, 2012 at 6:46 am

Posted in pensieri

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