È uscito in libreria una nuova edizione del Gran Teatro Montano. Ne parla Avvenire in apertura dell’inserto culturale. La scelta davvero curiosa è quella di pubblicare il più bel libro d’arte di Testori senza le immagini relative. Può essere che la cosa sia stata dettata da ragioni di budget, dato che l’editore è un piccolo editore; anche se in realtà si è scelto di mettere altre immagini, quelle di uno scultore con cui Testori per altro ebbe a che fare negli ultimi anni della sua vita, Ilario Fioravanti. Siamo alle solite. Una cultura editoriale un po’ da strapazzo interviene su un libro importante come questo con criteri faciloni e del tutto arbitrari. Per Testori la scelta delle foto nei libri contava quanto i testi. Passava le ore e le giornate a seguire la realizzazione e il taglio delle immagini. Arrivo dire che certi autori esistono per il modo con cui Testori li ha fatti fotografare: penso a Beniamino Simoni, il grande scultore camuno, al quale dedicò un libro meraviglioso edito da un piccolo editore, la Grafo di Roberto Montagnoli (il problema evidentemente non è essere piccoli o grandi; è essere un buon editore o no…). La campagna fotografica, che ancora ho stampata negli occhi, era stata fatta da Franco Rapuzzi. Sullo stesso Simoni uscì qualche anno dopo un libro scritto da Fiorella Minervino e fotografato senza “occhio” e senza cura: un libro che ha ridotto a figurini sdolcinati gli eroi furiosi di Simoni.
Oggi tocca a Gaudenzio. Eclissato visivamente proprio nel libro che l’aveva consacrato. Quanto a Testori, paga un’altra volta un approccio tutto letterario ed estetizzante, con un’edizione che è il contrario di quella grande operazione di alfabetizzazione artistica che era stata nella sua chiarezza, nella sua eleganza e nella sua accessibilità l’edizione di Feltrinelli di 45 anni fa. Il testo in quel libro era un tutt’uno con l’apparato iconografico, espressione di una stagione straordinaria della fotografia d’arte, chiamata a raccolta per l’occasione: da Pizzetta a Lazzari, da Rampazzi a Reffo… Oggi è un testo decapitato.
Qui sotto la bellisima cover dell’edizione del 1965, disegnata da Ugo Brandi.