È stata una sorpresa scoprire che nella grande piazza al centro dei tre edifici del Portello (ultimo, forte progetto firmato dal grande Gino Valle, lui che progettò la tomba di Pasolini…), c’è posto per una bellissima installazione dedicata a Testori. Siamo sul margine del lungo viadotto, che all’altro capo inizia proprio dal ponte della Ghisolfa. Quindi Testori qui ci sta bene. Ma l’installazione è qualcosa di più. È firmata da Emilio Isgrò e ha come titolo “Grande cancellatura per Giovanni Testori”: si allunga per una trentina di metri su un muro elegante ed obliquo che chiude a nord la grande spianata (in questo l’installazione ha una doppia funzione: quella ovviamente di cancellatura delle parole, ma anche di elemento che perimetra lo spazio). L’impressione visiva è di grande bellezza, con le righe lunghissime per la gran parte coperte del segno nero della cancellatura, e quell’inclinazione che dà slancio formale all’insieme. Sotto il nero le parole “vibrano”, anche se non le possiamo leggere, se non in piccola parte. Ma è appunto quella piccola parte che Isgrò ha lasciato emergere che fa scattare l’immaginazione su tutte le altre. Ci vien detto che si parla, là sotto, “del ponte che i lampioni illuminavano”; poi emergono due parole non consequenziali, che però si combinano in modo meraviglioso “di tremore smisurato”. E infine a chiudere l’allusione di un “altrove”.
È ben noto che il linguaggio espressivo di Isgrò non ha molto a che vedere con il linguaggio figurativo che Testori aveva amato e difeso a spada tratta in vita. Questo aumenta ancor di più la sorpresa, perché dimostra come gli schemi “uccidano” la memoria, mentre le “segrete intese” la fanno sussultare e la rendono viva. Isgrò si dimostra capace di toccare una corda che ci restituisce Testori meglio e più fedelmente di tante letture “testorianamente ortodosse”. Coglie quella dimensione di “tremore smisurato” che è la dimensione che fa sempre vibrare la scrittura di Testori, che ne descrive anche il profilo psicologico.
Isgrò con Testori aveva avuto rapporti ai tempi della nascita del Teatro Franco Parenti («alcune riunioni si erano tenute a casa mia», ci racconta); c’era stato anche un invito a pensare a una rappresentazione sacra per Gibellina; poi tra loro le relazioni si erano interrotte per una somma di incomprensioni, derivate soprattutto dalla svolta “cattolica” di Testori. Tuttavia nel 1980 Isgrò sul Giorno, dando conto di questa distanza che si era aperta, ne aveva già dato una lettura nient’affatto prevenuta e per certi versi sorprendente: «È ancora da stabilire se Testori… non appartenga a quella stirpe di profeti che hanno bisogno di guardare all’indietro per intravedere il presente e il futuro con una certa approssimazione». L’articolo del 25 gennaio 1980 è stato ripubblicato nel volume di scritti di Isgrò, Come difendersi dall’arte e dalla pioggia (Maretti, 2013).
Si può dire che nel senso di amicizia e anche di magnanimità di quelle vecchie parole, stesse già germinando la bellissima installazione che sabato 14 giugno (alle ore 12) verrà inaugurata al Portello, insieme alla piazza intitolata proprio a Gino Valle. Come mi suggerisce Isgrò, dovrà essere l’occasione di una «grande festa per Milano e per Testori».