Ora che approdano a Milano due capolavori di De La Tour, regalo “natalizio” del Comune alla cittadinanza (finalmente per Natale arrivano soggetti natalizi: ci voleva un sindaco che viene da Rifondazione per mettere ordine nelle cose…), ne sentiremo di ogni. Per questo meglio fare barra sulle parole di Longhi, che sono datate 1935, ma mostrano una freschezza ancora intatta. Con acutezza e ironia Longhi accosta un artista ad altissima carica suggestiva, senza mai andare in corto circuito. Il testo è in realtà un’intervista (vera o falsa?) pubblicata su L’Italia Letteraria nel gennaio del 1935 a commento della mostra sui Pittori della realtà in Francia che si era tenuta a Parigi.
Mi rimane da chiederle una sua precisione sul De La Tour. In questi giorni se ne leggono di ingegnosissime.
«Lei dovrebbe vederlo! È un pittore soprendente. Non abbiamo strumenti per misurare il suo genio; ma sento che il talento di de la Tour spezzerebbe più di un manometro. È un peccato che non abbiamo nulla di suo, in Italia. Sebbene firmasse latinizzando, è probabile che non abbia mai fatto il viaggio di Roma. Ed è forse per questo che sa dare, dei principi caravaggeschi, un’interpretazione così a parte, per nulla servile. Magari gli sarà bastato quello che gli raccontavano il Callot o il Le Clerc di ritorno a Nancy, a un passo dai luoghi dove il de la Tour abitò e dipinse per tutta la vita. Lo vedo come il gentiluomo mascherato del caravaggismo, una specie di misterioso dilettante. Direi che, nel movimento caravaggesco, abbia la collocazione che il Savoldo, nobile bresciano, ebbe ne giorgionismo.
Costruisce il suo fortino caravaggesco a Lunéville in Lorena e continua a cristallizzare i suoi effetti di luce sino al 1650, a una data, insomma che di pittura caravaggesca non se ne faceva più da un pezzo, in nessuna parte del mondo. Si prova nei suoi esperimenti di alchimia caravaggesca chiuso in una torretta, a luce artificiale di lanterna magica o, tutt’al più alla luce gialla che filtra durante le grandinate. Starei per dire che il suo è un caravaggismo ugonotto. Sia come si vuole, le sue decifrazioni d’argomenti religiosi sono le più intelligenti e moderne dopo quelle, scandalose, di Caravaggio; ma più misteriose, esoteriche».
E poi ancora, a proposito dei Bari del Louvre
«Che strampalata precieuse, la cortigiana lorenese alla moda del 1630! Questo suo viso come un ovo di struzzo farà certamente spasimare il nostro Casorati, ma non sarà certo questa una ragione per cantar vittoria, perché, qui, l’arcaismo è provvidenzialmente avvolto da una verità di lume, per quanto eccezionale. C’era un’aria tra rosa e gialletta da grandinata imminente a Lunéville, quel giorno, ma c’era; non so che stagione corra nei nostri sintetisti di moda. E, a guardar più vicino, sugli orli della forma in apparenza così placida, intacchi brevi, rosicchiature; nei capelli rosso rame del baro a sinistra, Aramis magnifico, crepitano poche scintille avvistatrici; odore di polvere; un’ironia gentile serpeggia nei bizzosi scintillii delle monte prossime a passar di mano»
Ne ho scritto anche per il Sussidiario