Per Kenneth Clark è il più bel quadro mai dipinto («a picture which those who have seen the original in Leningrad may be forgiven for claiming as the greatest picture ever painted»). È il Figliol prodigo di Rembrandt, dipinto alla fine della sua vita (1668 circa) e custodito al museo dell’Ermitage. Certamente un capolavoro, che probabilmente Rembrandt lasciò incompiuto e che venne finito da qualche suo aiuto. Una tela di grandi dimensioni, 2,62 di altezza, di cui in genere si vede solo la parte cruciale che sta a sinistra, quella del padre che accoglie il figlio, e che è giustamente diventata l’immagine di riferimento per questo Giubileo della Misericordia. Il resto, pur occupando uno spazio notevole, sfuma un po’ nell’indistinto, compreso il dettaglio del fratello rimasto fedele che osserva la scena un po’ contratto, sulla destra.
Dopo essere stata in collezioni in Germania, l’opera venne acquistata nel 1766 da Caterina II di Russia e per questo oggi è tra i tesori dell’Ermitage.
Il cuore del quadro è nel dettaglio delle mani del padre che s’appoggiano sulla schiena del figlio in un gesto di accoglienza senza riserve. È stato notato come le due mani non siano uguali, e che quella a sinistra abbia caratteristiche più femminili di quella di destra, con dita più affusolate e proporzioni più piccole. Resta misteriosa questa scelta di Rembrandt, anche se è suggestivo pensare al fatto che una dimensione pienamente paterna includa anche un connotato materno. Le mani comunque sembrano fondersi quasi con il corpo del figlio; il vecchio padre che rivela tutta la fatica di questo gesto, è semi cieco e quindi il “toccare” per lui è anche un vedere: altro elemento che spiega l’intensità del suo gesto.
Altro dettaglio di profonda intensità è quello della postura del figlio. È inginocchiato, come in una sorta di resa davanti al perdono del padre. Rembrandt ne dipinge il volto in una semi ombra, che rende indistinti i suoi connotati. Il figlio è risucchiato con tutto il suo essere dalla figura del padre, al punto che la testa sembra letteralmente affondare nel grembo del genitore. È un vero ritorno “a casa”, non semplicemente tra le mura di casa, quello che Rembrandt racconta in questo quadro. La misericordia in questo modo svela la sua consistenza fisica. Non un’idea, un sentimento, una intenzione, ma una forza che investe la carne, che la pervade. Che la tocca.
Ma non finisce qui il percorso di questo quadro. Perché Rembrandt opera una sorta di transfer che ci coinvolge. Non dipinge solo un quadro, dipinge un’esperienza tattile. Il toccare del padre non è solo visivamente rappresentato in modo magistrale: quel toccare è esito di un toccare reale. Toccare il colore, metter le mani sulla materia dipinta. Sentite cosa scrive Svetlana Albers, ne L’officina di Rembrandt: «Nei dipinti dell’età matura Rembrandt tratta il colore per attirare il nostro senso del tatto mediante il senso della vista. Lo depone sulla tela con il pennello e ne lavora lo spessore con la spatola e le dita, al punto che sembra di poterci appoggiare la mano». Proprio come il padre sulla schiena del figlio.
Potete esplorare il quadro sin nei minimi dettagli su Googleart project. Un’esperienza che merita