Mi piace questa Natività inselvatichita e un po’ incendiaria. Una Natività aspra, in linea con i tempi… Una Natività fuori dalle righe, fuori dal mood consueto del Natale, dipinta voltando le spalle a tutte le Natività dipinte prima. Ma non c’è intenzione provocatoria in questa scelta di Emil Nolde. Il quadro fa parte di un insieme di grande respiro, il Polittico con la Vita di Cristo, dipinto tra 1911 e 1912 e oggi custodito a Neukirchen, nella Stiftung Seebüll Ada und Emil Nolde, in quella che era la casa dell’artista. C’è evidentemente un soggettivismo dichiarato in questo approccio. Un soggettivismo di impronta luterana che punta a saltare le mediazioni e quindi che non si preoccupa di accantonare anche la tradizione. Ma questo soggettivismo può essere letto anche come un’urgenza. Come un bisogno di strappare gli stereotipi e di restituire attualità e anche realtà a quei soggetti. In questa Natività in particolare è bella e spiazzante l’intuizione di Maria che orgogliosamente innalza il figlio, lo mostra al mondo, quasi con spavalderia e ostentazione. È un modo con cui Nolde attesta un “qui ed ora” e non un semplice atto di memoria storica. La Natività, viene da dire, nasce ogni volta. Mai uguale a se stessa. Non è mai una replica. Nolde con la sua pittura bruciante cerca questo (sulle tracce di Grünewald e dei grandi tedeschi del 500). Poi all’acidità dei colori e al disegno selvaggio e a tratti brutalizzante delle figure unisce l’intuizione così poetica del cielo notturno e stellato contro il quale si staglia la figura del Bambino. Un po’ ringraziamento (e affidamento) a Dio per aver dato al mondo quel figlio, un po’ richiamo al fatto che quella nascita è cosa che, pur nella sua natura circoscritta, ha relazione con l’infinito e con l’eterno.