Su Repubblica di lunedì scorso Paolo Vagheggi si è lanciato in una curiosa apologia del Macro (per chi non lo sapesse, è il Museo – comunale – di arte contemporanea di Roma). Secondo Vagheggi il Macro doveva essere niente di meno che il «simbolo della rinascita culturale italiana». Ora invece, dopo la mancata conferma (causa il cambio di colore della giunta comunale) dell’incarico di direttore a Danilo Eccher, è rimasto senza guida. Il che certamente non è una bella cosa e la tristezza dei guardiani descritta dal giornalista è lì a testimoniarlo. A dire tutta la verità, non è che quei guardiani li vedessimo molto felici neanche nelle visite che ci è capitato di fare in questa suggestiva struttura, nel cuore di un quartiere popoloso di Roma. Le mostre, alcune anche belle, le trovavamo regolarmente deserte. Il bookshop un po’ triste e dimesso per scarsi affari. Se la rinascita della cultura italiana passava di lì, francamente non ce ne siamo accorti. Immaginiamo poi che la tristezza debba essere montata mano a mano che, sempre a Roma, avanzava il cantiere del Maxxi, il fantasmagorico Museo di arte contemporanea della capitale, progettato da Zaha Hadid (le due XX del nome ne indicano la taglia…). Sarebbe interessante capire chi ha avuto l’idea geniale di sviluppare due strutture molto impegnative, tutt’e due dedicate all’arte contemporanea in una città che certo non manca (!) di offerta culturale e artistica. Quindi non lamentiamoci di chi ridimensiona i progetti ma piuttosto di chi li ha così maldestramente pensati.
Inoltre l’arte contemporanea, proprio perché tale, è molto meglio che resti il più possibile nell’arena della vita e non pretenda di entrare nei musei. È una garanzia di vitalità. E inoltre si evita di alimentare la spiacevole dinamica che, attraverso l’uso delle strutture pubbliche, in realtà finisce per favorire interessi di mercato (la cosa è del tutto inevitabile). In un museo, lo dice la parola stessa, entrino valori consolidati. Prima si accetti il gioco spericolato della vita.