Un’escursione fuori dai miei territori. Ho letto il Trattato poetico di Czeslaw Milosz, uscito da poco da Adelphi. Un vero poemetto sul 900: si deduce che per la Polonia la poesia e i poeti sono l’equivalente di quello che per l’Italia sono stati pittori, scultori, architetti. Presenza che invadono gli occhi e “formano” l’anima. Nel Trattato ho intercettato questi versi bellissimi. Che Milosz, in appendice, si premura di spiegare e dissigillare. Per lui la poesia è fatto pubblico. È chiarezza raggiunta per mezzo di evocazione. E la realtà è molto più decisiva delle preoccupazioni formali: un’indicazioe che non vale solo per i poeti.
Eh no lettore, non abiti una rosa:
questo paese ha i suoi pianeti e fiumi,
ma è fragile come il lembo del mattino.
Lo ricreiamo noi giorno per giorno
stimando più ciò che è reale
di ciò che è irrigidito in nome e suono.
Al mondo lo strappiamo con la forza,
troppa facilità non lo fa esistere.
Di’ addio a ciò che è scomparso.
ne giunge ancora l’eco.
A noi tocca parlare in modo rozzo e aspro.
Commento di Milosz: «Il regno della poesia viene strappato al mondo non negando le cose del mondo, ma rispettandole più di quanto a rispettare i valori estetici. Questa è la condizione per creare una bellezza degna di quel nome».