Oggi si tiene la Santa Crus di Cerveno. È una cosa unica che cade ogni 10 anni, una macchina scenica che coinvolge tutto questo paese della Valle Camonica (la Santa Crus non cade tradizionalmente nella Settimana Santa ma a maggio, perché legata alla festa del Ritrovamento della Croce, che nel vecchio calednario liturgico cadeva il 3 maggio). Ma soprattutto la Santa Crus è una sorta di memoria vivente dell’opera di quel grande scultore che è stato Beniamino Simoni. Lui ha lasciato a Cerveno il suo capolavoro, nelle 14 cappelle della Via Crucis allineate ai lati della scala di accesso alla parrocchiale. A quella Via Crucis ho leagto uno degli episodi più formativi della misa storia: ci ero salito con Testori che aveva in programma di realizzare per la Grafo di Roberto Montagnoli un libro che finalmente rendesse giustizia di quel capolavoro. Eravamo saliti con il fotografo e ricordo l’occhio quasi rapace e impetuoso di Testori che suggeriva (è un eufemismo, naturalmente: era una regia che non ammetteva discussioni, la sua) i particolari, e soprattutto il punto di vista da cui riprenderli. La fotografia doveva finalmente svelare la grandezza e l’energia plebea di Simoni, non doveva ammansirla come sin lì si era colpevolmente fatto (e come si sarebbe fatto anche in seguito, purtroppo). Il libro pubblicato nel 1976 è un gioiello, ampio, agile, graficamente impeccabile. Testori riprendeva un primo studio con tanto di campagna fotografica di dieci anni prima. Ma questa volta le dimensioni del volume, la maestria dell’editore e l’osmosi del fotografo di Roberto Pedriali con l’occhio di Testori. E nelle pagine irrompono i volti del popolo di Simoni, presenze che non si possono dimenticare per quel loro concentrato di energia umana. Lo sguardo ravvicinato esalta anche la pasta del legno, lavorato con la sgorbia, una specie di “pellaccia” più vera del vero.
Ma quello che conta è il metodo; l’arte vive perché uno sguardo non banale, intelligente criticamente e capace di immedesimazione (quindi non culturalmente supponente) la fa di nuovo sussultare.
Ecco un assaggio delle parole di Testori:
«…il Simoni, in effetti, non polemizza; si pianta lì, nel bel mezzo del secolo (il 1700, ndr), con le sue zampe da toro testardo e senza requie; si pianta lì e vive; vive e soffre fino all’ultima stilla di sudore e di sangue le presenti e passate sofferenze, ingiustizie, violenze, servitù, turpitudini, fami e vergogne del suo povero, disperato popolo, vive, soffre e constata; e constatando pietoso della sola pietà possibile a quei tempi (che era l’indignazione), una scultura gli cresce nelle mani, potente, tragica, nuovissima (quasi venisse trovata o inventata lì, ecco, proprio lì, a Cerveno, per la prima volta da che l’uomo era uomo)…»