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Un libro che raccomando: il Barocco di Montanari
«Il vero barocco di Roma è invece tutto in quella soluta felicità di una forma civile ed antica che, evocata dal canone classico, ora però si vede vibrare come attraverso un velo d’aria infiammata; come se il travertino scottasse gonfiando sotto lo scirocco romanesco». È facile riconoscere in queste righe la grande prosa di Roberto Longhi capace di aderire come un guanto all’oggetto di cui sta parlando (in questo caso è la Fontana dei Fiumi di Bernini in Piazza Navona). Ho trovato la citazione nel libro bello e utile di Tomaso Montanari sul Barocco, uscito nella Piccola storia dell’arte Einaudi. È un libro che consiglio perché capace di uno sguardo complessivo, sintetico e chiaro. Uno sguardo che giustamente non nasconde la propria meraviglia di fronte a quella stupefacente stagione della nostra storia culturale. In particolare il libro di Montanari risuona alla fine come un inno ragionato e insieme innamorato della Roma che va dagli affreschi della Galleria Farnese dei Carracci (1599/1600, in contemporanea Caravaggio era alla Cappella Contarelli…) sino alla volta del Gesù del Baciccio (1576/79). In mezzo, sotto la regia dei papi (è un libro giustamente molto “papalino”), ci sta l’eccezionale cavalcata di Bernini e di Borromini; e c’è la geniale e decisiva interferenza di Rubens. Montanari individua una data come momento di innesco di quel processo che portò ad una vera trasfigurazione di Roma: il 6 agosto 1623, quando il cardinale Maffeo Barberini venne eletto Papa, e diventa Urbano VIII. È lui ad avere una di quelle idee semplici che comportano però un salto di qualità nella storia di una città: si “inventa” il Bernini architetto e urbanista. In sostanza è lui a consegnare le chiavi del rinnovamento urbanistico di Roma a colui che sino ad allora era stato solo un grandissimo scultore. Ma più che di un rinnovamento urbanistico si trattò di un vero rinnovamento dell’immaginario della città, trasformata in uno scenario fantasmagorico, completamente immerso nelle dimensioni del mondo (quini nei sensi) ma insieme lievitante verso una dimensione superiore.
Montanari riconosce la genialità della strategia papalina innescata da Urbano VIII e perseguita con modalità diverse dai suoi successori. Ed è sinteticamente significativa la contrapposizione finale con quanto invece accadde con il “cambio della guardia” tra Roma e Parigi. Luigi XIV com’è noto pretese di avere il grande Bernini al proprio servizio. Un fatto che tutta l’Europa aveva seguito quasi aspettando qualcosa di epocale e inaudito. Invece il rapporto fallì clamorosamente. E la ragione la si capisce nel rapporto che uno scrittore inviò a Cosimo III di Toscana descrivendo la reggia che Luigi XIV si era fatto costruire, saltando Bernini. Versailles, scrive Lorenzo Magalotti, non lascerà particolari vestigia di sé. La cosa nuova è che «di dentro ogni cosa ride». In sostanza quello che a Roma era grande scena pubblica, era creazione aperta allo sguardo di tutti, a Parigi diventa scena di corte, chiusa, che taglia fuori dal mondo. Un cambio sostanziale, che ancora una volta ci fa capire quant’è stato grande il paese in cui viviamo. Non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello civile. Come appunto Longhi scriveva (da parte sua Francis Haskell individuò nella “grande cultura e tolleranza dei mecenati italiani” la causa originante di quella straordinaria stagione).