Ci sono artisti che hanno una capacità di sembrare sempre nuovi ogni volta che ti imbatti in qualche loro opera. È come una grazia speciale (e abbastanza rara), che li preserva dalla databilità. Magari sono lontani di qualche decennio, ma ti lasciano l’impressione che quel che vedi sia stato fatto appena ieri. Uno di questi artisti è senz’altro Mario Schifano. Proprio oggi la sorpresa si è rinnovata, quando nella posta è arrivato il comunicato che annuncia la mostra per i 25 anni della galleria Alessandra Bonomo di Roma. Tra le opere che verranno esposte c’è anche questo Schifano, Santuario (1985- 86). È un quadro che soffre di un groviglio soutiniano nella parte bassa. Sembra zavorrato; quasi destinato a “non nascere”, a morire nell’informe di quelle zolle. Invece poco alla volta salendo, allarga il respiro, prende forme inattese perché non prevedibili. Quell’edificio argenteo, luogo di una fede lievitante, e incantata, che si regge su stalagmiti sottili sottili. È una santuario che prende il volo verso il cielo stellato. Un cielo visto con occhi infantili. Cielo amico, con cui giocare a fare riccioli di buio e a fissare stelle. Non è un capolavoro. Ma c’è una purezza spiazzante, che lascia una punta di profonda commozione. Viva Schifano!