Ivrea, 20 settembre. Visita al tramezzo di Spanzotti con Giovanni Romano. Sulla parete divisa in una trentina di riquadri, alcuni riquadri si accorpano in un contesto unico. Ultima Cena e Lavanda dei piedi sono ambientate in unico ambiente e la cornice che divide le scene coincide con una delle colonne delle navate. Ne risulta un ambiente di un’ampiezza inaspettata per un pittore che agisce in una chiesina francescana in piena provincia piemontese. Stessa cosa accade nella capanna che ospita la Natività e l’Adorazione dei Magi. C’è un bisogno di andare ampio, di stare largo che è la cifra del grande Spanzotti. È un mondo dove c’è posto per tutti e non c’è bisogno di sgomitare.
Seconda sottolineatura. L’idea delle pareti affrescate con le scene della vita di Cristo è tipicamente francescana. Chi predicava aveva bisogno di rendere credibili le proprie parole con continui riferimenti figurati. A Milano esisteva la parete più bella di tutti, a Sant’Angelo, dipinta da chissà chi a fine 400 e distrutta intorno al 1530 perché la chiesa fuori le mura era diventata ricettacolo di nemici. Un viaggiatore francese di inizio 500 ne parla come della più bella cosa di Milano, Cenacolo (ancora in buono stato) compreso.
Terza sottolineatura. Nella scena del paradiso, Spanzotti mette come sorveglianti i rappresentanti di tutti gli ordini domenicani esclusi. Ci sono benedettini, agostinani, antoniani, francescani. Mancano i domenicani. Il motivo la polemica sull’Immacolata concezione, che i francescani propugnavano e i doemicani osteggiavano. Una polemica feroce e senza mezzi termini.