Un’immagine di una tenerezza da togliere il fiato: è la Madonna annunciata di Gaudenzio custodita nella Cappella II del Sacro Monte di Varallo. In vista dell’attesissima mostra dedicata al maestro di Valduggia, che aprirà il prossimo 22 marzo, si è provveduto al restauro delle due sculture della Cappella. E a Maria è stata tolta la veste azzurra e il grande velo blu che l’avvolge. Così si è scoperto come Gaudenzio l’aveva immaginata: con una semplice veste bianca, che aderiva al corpo, e lasciava aperta quell’ampia scollatura. La veste è di tela di canapa resa rigida dal gesso, che permette così di “disegnare” con cura le pieghe che scendono ordinate sul davanti e invece più angolose lungo le braccia. È in un certo senso un momento di transizione dal Gaudenzio intagliatore al Gaudenzio plasticatore che conosceremo in quasi tutte le altre cappelle del Sacro Monte, come suggerisce la direttrice Elena De Filippis. La screpolatura della superficie e quella connaturata fragilità completano la commozione di questa immagine.
Al dettaglio della veste c’è poi da aggiungere quello delle mani, incrociate con un disegno dolcissimo e perfetto. Il legno a forza di delicatezza sembra sconfinare nella carne, al punto che si percepisce visivamente un senso calore, come se fossero vere le venine azzurre sottopelle. Le dita lasciate leggermente aperte hanno poi qualcosa poi di teneramente pudico: una dimensione psicologica che è concepibile solo nell’orizzonte di un’assoluta semplicità di cuore. È uno starci senza arrogarsi nessun merito…
Sono dettagli che dicono tantissimo di Gaudenzio e della sua “grandezza”, se grandezza non fosse parola carica di una retorica, dimensione a lui estranea. Gaudenzio sta attaccato al quotidiano, con dolcezza e caparbietà. Ma il quotidiano con lui diventa un orizzonte capace di abbracciare tutto, il basso come l’alto, il sentimento come l’aspetto intellettuale. Non è un ripararsi dal mondo, ma è un guardare il mondo stando attaccati a luoghi, volti, circostanze precise. Il quotidiano, la “casa” con lui diventano così un teatro di poesia non “stretta” ma vasta. Aveva del resto scritto Testori, delle sculture di questa cappella: «… come se la poesia potesse salire in cielo solo per creature nutrite di mitologia e di potenza, e non anche per creature nutrite della loro povertà, della loro incommensurabile fiducia nel fatto di esser nate lì, in una valle, in un paese e di dover tutto risolvere della loro esistenza; e lì trovare i propri déi. Finanche i déi della bellezza. Ché mai visi furon più colmi di luce; mai labbra più straripanti di tenerezza».
Per questo l’occasione della mostra di Gaudenzio sarà un’occasione da non perdere per scoprire non un grande minore, ma un artista che ha voluto sperimentare una dimensione diversa: quella, come ha spiegato Giovanni Agosti, di «una forte componente etica, una difesa di certe scelte figurative che sono anche scelte di comportamento». Per arrivare a rappresentare «un’umanità che ti innamora». Del resto era stato lo stesso Roberto Longhi a confermare Testori nelle sue scelte, dicendogli che Gaudenzio è artista da mettere a «vertici umani assoluti».
Casa Testori ha organizzato un weekend gaudenziano con i curatori della mostra Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, per il 12 e 13 maggio.