La Chiesetta è quella della Beata Maria Vergine del Carmine, nelle campagne di Coazzolo, tuttora consacrata, edificata alla fine del Seicento in aperta campagna, con una vista che spazia sulle colline del Moscato, fino ad arrivare al Monviso. Davide Tremlett ne ha ricreato completamente l’esterno, intervenendo solo con i colori (qui le foto di Bruno Murialdo per Artribune). È una sorta di reinvenzione di un reperto del passato: Tremlett lo reinventa rendendolo contemporaneo, integrandolo in modo moderno (e rispettoso) al contesto. Il segreto sta nella palette di colori usata, che pur essendo del tutto inconsueta, assorbe i colori del paesaggio. Poi c’è il linguaggio delle geometrie, che lui stesso ha spiegato con un’intervista al Corriere della Sera.
«La geometria dei filari di vite mi ha ricordato le treccine delle donne africane e così è nato il lavoro», ha detto. «Ho osservato la configurazione dei vigneti, parlato con i contadini, li ho visti lavorare, ho condiviso con loro il cibo e tutti i giorni era un regalo. Tornato a casa, ho realizzato centinaia di disegni che poi ho dipinto sulla facciata e sulle pareti della chiesa. Sono le mie forme geometriche tradizionali, rettangoli, quadrati, trapezi, che formano una struttura architettonica che qui cerca un dialogo con la natura, con la tradizione e la modernità. Mi ha colpito una contadina quasi centenaria con il foulard in testa: ogni giorno saliva la collina, raccoglieva l’erba per i suoi conigli».
Poi ancora: «Ciò che mi ha più stupito di questa comunità è la generosità, la capacità di unire sapere antico e presente, senza spreco. È un atteggiamento contemporaneo, vicino alla mia sensibilità: cercare di ottenere il meglio con poco». Cos’è la qualità? «È ciò che resterà». E la bellezza? «Ciò che non si dimentica».
C’è molta grazia e anche coraggio in questo intervento, che ha come esito quello di rifare di quella chiesetta un fulcro, un riferimento di cui chi vive e lavora lì torna ad essere orgoglioso. A suo modo un’operazione-specchio: la chiesetta riflette il mondo che la circonda e restituisce a quel mondo una coscienza di bellezza più piena. L’arte contemporanea serve al passato: lo valorizza nel momento in cui ha anche il coraggio di “non rispettarlo”.
Aggiungo: l’intervento di Tremlett restituisce allegria a quella chiesetta. In fondo il cristianesimo era sempre capace di rallegrare gli uomini (e non di incupirli come troppo spesso oggi accade…)
Tremlett non è certo nuovo da queste parti: recentemente aveva lavorata anche negli interni della nuova struttura di accoglienza di Opera Barolo a Torino, e 20 anni fa con Sol Lewitt alla cappella del Barolo della Morra.
Grazie Giuseppe! Ti ringrazio anche per quello che hai mostrato e scritto oggi su Sussidiario. Amo Tremlett, da tempo. Lo sento molto vicino. Per questa sua aderenza alle cose, ai luoghi, ai muri che dipinge stendendo il colore con le mani. Li accarezza. Si sente. E’ molto molto vero quello che hai scritto su Sussidiario. Fa sorridere la chiesa e la Chiesa. Ma non con l’ironia corrosiva e critica oggi corrente (anche nell’arte): con un sorriso RADIOSO e interno. La fa sorridere dal profondo della sua storia e cuore e muri. E’ da questa parte che noi tutti persi come pecore senza pastore (laici e cristiani di facciata) ritroveremo il corpo della chiesa/Chiesa.
paola marzoli
29 Giu 17 at 7:56 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>