La cosiddetta “natività povera”, ovvero la rappresentazione del Natale secondo un’adesione alla lettera al racconto del Vangelo: Caravaggio dipinse due volte questo soggetto, in un arco di tempo molto ravvicinato, cioè durante il soggiorno siciliano a cavallo tra 1608 e 1609. Una delle tele rappresenta un’Adorazione dei pastori, ed è custodita al Museo Regionale di Messina. La seconda, una Natività con San Francesco e San Lorenzo, è stata purtroppo oggetto, nel 1969, di uno dei più clamorosi furti della storia. Era custodita a Palermo, all’Oratorio di San Lorenzo. Ciò che unisce le due opere è una comune committenza francescana: era una chiesa dei Cappuccini la destinazione originaria dell’opera di Messina; ed era invece tenuta da una Confraternita di San Francesco l’oratorio palermitano. Questo è un fattore chiave che spiega in buona parte l’origine dell’innovazione di Caravaggio: il santo di Assisi non solo aveva una devozione speciale per il Natale, tanto da inventare nel 1223 il primo presepe della storia (quello vivente di Greccio). Ma sperimentava una indicibile commozione davanti al racconto di quella radicale povertà in cui Gesù si trovò a nascere.
Caravaggio da lì partì per concepire queste due grandi tele, incoraggiato nelle sue scelte anche dal fatto che vescovo di Messina in quel momento era un francescano di grande prestigio e fascino, il frate minore Bernardino Secusio. E concepì così queste stupende “natività povere”. La povertà , prima ancora che dalla rappresentazione, è data dal tono così sobrio e antiretorico delle tele: la materia è scarna, e la costruzione dell’immagine, soprattutto nella tela di Messina, lascia tanto spazio “vuoto” destinato a rendere la sensazione di un ambiente nudo e privo di tutto. Anche la luce è fioca, e, a differenza degli effetti potenti a cui Caravaggio ci aveva abituato, qui non riesce a stanare dal buio tanti particolari delle figure presenti. È luce che si intrufola nella stalla, lasciandone nella semioscurità la gran parte. Ma la scelta iconografica più nuova di queste due “natività povere” è quella di dipingere Maria stesa sulla nuda terra, senza quei piccoli sotterfugi con cui in genere l’arte aveva cercato di rendere meno brutalmente reale la rappresentazione del Natale (Giotto ad esempio, a Padova, ha immaginato Maria stesa su un giaciglio). Caravaggio non fa la retorica della povertà e neanche esaspera i toni per dare maggiore radicalità alla scena. Semplicemente dà l’impressione di seguire i fatti, di adeguarsi a come verosimilmente devono essere andate le cose. Maria stesa per terra, con il braccio appoggiato alla mangiatoia, nella versione di Messina tiene tra le braccia il bambino avvolto in fasce: visto da vicino, penetrando nella penombra, si scopre che le labbra di Gesù s’appoggiano teneramente al mento di Maria, mentre la manina si allunga verso la guancia quasi volesse fare una carezza. Ed è la povertà della scena a rendere ancora più acuta e commovente questa relazione affettiva tra la madre e il figlio: come se il destino dell’uomo non avesse bisogno di nient’altro oltre a questo legame di bene. «La Madonna con il minuto bambino», scrisse il più grande studioso di Caravaggio, Roberto Longhi, «sotto lo sguardo apprensivo dei pastori quasi colati in bronzo, appare spersa su quel poco di strame pungente, entro quel chiuso di animali immobili come oggetti, di assi e di stoppie…». Il riferimento allo “strame pungente” oltre che molto poetico fissa l’attenzione su un altro elemento di questa natività: è la paglia dispersa sul terreno. Una paglia che nella sua pochezza però riflette la luce e sembra accendersi, quasi trasfgormandosi in esili filamenti d’oro: la povertà ha in sé anche qualcosa di prezioso, sembra suggerire Caravaggio. Una preziosità che si deposita nel cuore di chiunque si trovi davanti a questa tela.
L’altra Natività ha una costruzione diversa, quasi che Caravaggio, ormai giunto al capolinea della sua breve avventura umana (morì nel 1610 a 39 anni), avesse recuperato reminiscenze dei suoi anni di formazione in Lombardia. È un quadro che richiama Savoldo o Moretto, grandi artisti che nel 500 avevano preparato la strada al realismo del Merisi. Anche in questa versione Maria è seduta per terra e fissa il Bambino che è nudo sul pagliericcio. Tutta la tradizione pittorica ha sempre rappresentato questa scena disponendo Maria in ginocchio davanti al figlio nella mangiatoia: una scelta che evidentemente incoraggiava la devozione, ma che nella testa di Caravaggio non corrispondeva alla verità dei fatti. Perciò riavvolge il film e prova a immaginare una situazione così come davvero può essere stata vissuta dai protagonisti di quella notte di 2014 anni fa. Ecco allora che Maria se ne sta quasi spossata per la fatica, con la mano sul ventre, il vestito ancora un po’ scompigliato che lascia intravvedere una spalla, e lo sguardo abbassato verso quel Bambino di cui sembra aver già intravisto il destino. Non ha veli in testa, come non li avevano altre due meravigliose Madonne “popolane” che aveva dipinto a Roma, quella dei Pellegrini e quella dei Palafrenieri.