Una di quelle giornate che uno sogna da sempre: girare senza ansia e senza limiti di tempo nel più bel più bel museo del mondo. Si entra alle 10 e poco più. La coda è di quelle bibliche. Ma per fortuna pochi sanno che entrando dal Carrousel du Louvre rue de Rivoli, la coda è minima. Per di più il Carrousel è allagato per l’acquazzone del mattino (neanche Parigi è perfetta…; grandi vasconi di plastica azzurri sono disposti a raccogliere l’acqua dai punti dove ci sono perdite, segno che faccenda è abituale).
Si entra dalla porta Denon. Partiamo dalla nuova sezione dedicata all’Islam progettata da Bellini. Molto bella, moderna, calma, con apparati esplicativi ben fatti. Da colonnine audio, per familiarizzare, escono le voci di attori che leggono poesie nelle varie lingue, persiano, turco, arabo. Per la prima volta mi è chiaro perché l’Islam non parla tutto arabo. Colpa dell’invasione mongola del 200 che spacca l’Islam in due. Ci si muove dentro un allestimento che è come una grande scatola nera, che fa risaltare meglio colori e linee, vera ricchezza degli oggetti esposti. Infatti rappresentazioni di figure se ne vedono solo nei primi mosaici ancora d’impronta paleocristiana. Poi si eclissano, con una radicalità che non presenta eccezioni.
I custodi. Vero valore aggiunto del Louvre. Sempre molto discreti ma presenti, cortesi, pazienti. Credo che nove decimi delle domande siamo un aiuto ad orizzontarsi nel museo immenso: la cartina distribuita fa quel che può… Stanno seduti, ma appena fai la domanda si alzano. A una ragazza a cui chiedo come arrivare nella sezione dell’Egitto copto, vien da ripsondermi con soddisfazione: “Vous êtes des grands visiteurs”. Solo alla Gioconda si nota un atteggiamento un po’ più militaresco. Sono in quattro, e il loro ruolo è quello di aprire il cordone sul davanti per far uscire il pubblico che indietro non può certo tornare. Dove hanno più sale da tenere sotto controllo, girano in continuazione: a volte in coppia, parlando sempre fitto fitto tra di loro. Deve essere un servizio anche terapeutico…
Le foto. Dal punto di vista dei comportamenti di massa è l’aspetto davvero emergente. La libertà di fotografia (senza flash, ma molti flash scappano…) ha scatenato una vera frenesia. Non so quante foto si scattino al Louvre ogni secondo, ma il numero deve essere da brividi. C’è chi si fa fotografare davanti all’opera famosa vista tante volte sui libri, chi fotografa quadro e cartellino (a casa si rivedrà tutto?) e chi fotografa e basta, tenendo telefonino o smartphone in alto sopra la testa (le macchinette foto sono ormai una minoranza). Immagino quante di queste foto verranno spedite… È un Louvre virale… Anch’io n’è approfitto e mi diverto a prendere particolari ravvicinati. Noto che gli allarmi lasciano molta libertà… E non sono il solo: mi colpisce una ragazza giapponese che inquadra con il telefonino il volto del Cristo portacroce di Lotto. Cerca l’immagine giusta, sempre più ravvicinata, e dopo un po’ di scatti la trova. Colpita dal patetismo intenso di quel volto? Si capisce che le immagini non sono supporto ma sostanza… Non saremo mai abbastanza grati ai padri di Nicea…
I cartellini. Non c’ê spazio per la sciatteria al Louvre. I cartellini sono sempre ben fatti e includono una spiegazione sintetica in francese dell’opera. So che il nuovo direttore Jean-Luc Gonzales vuole rifarli tutti in più lingue, per venire incontro al pubblico sempre più globale. Mi auguro che conservi questo contenuto misurato di informazioni, dal sapore un po’ scolastico ma molto utili. Ogni tanto si nota qualche reticenza a dichiarare la provenienza dell’opera: si sa che il Louvre è stato messo insieme con la forza. E non è bello ad ogni opera dire da dove è stata portata via… Mi fa arrabbiare solo il cartellino all’Annunciazione capolavoro di Carlo Braccesco, dove si dice l’attribuzione (una delle intuizioni più geniali di Longhi) è ancora discussa.
Le sorprese. Il bello del Louvre è che non finisci mai di vederlo. Ad esempio, nelle sale dell’Egitto copto c’è l’allestimento di alcuni importanti resti della chiesa di Bauit, alto Nilo. La chiesa del VI secolo è riproposta su misura. E sul muro di fondo è posizionata la straordinaria tavola con Cristo che abbraccia l’abate Mena, occhi sgranati e simpatia umana a correre…
Nella sala per me ogni volta imperdibile della scultura italiana degli inizi, mi colpisce la grande deposizione della stessa tipologia di quella di Tivoli, inizio 200. L’immagine del personaggio che a braccia aperte si sbilancia verso il corpo di Cristo è quella che sta sbloccò Arturo Martini alle prese con la sua prima opera monumentale, il Figliol prodigo di Acqui Terme. Infine nelle sali francesi la meravigliosa Deposizione di Jean Malouel, appena acquisita dal Louvre. Un quadro di una delicatezza che non si può raccontare. Dipinto con un riguardo di chi sa che la materia è troppo santa per rischiare di usare il pennello con la minima arbitrarietà. Un quadro che è come una preghiera.