Vent’anni fa moriva Giovanni Testori. Oggi, alle 16, alla pinacoteca di Brera di terrà un convegno a lui dedicato. Si terrà nella sala XV, davanti a questo Polittico di Foppa, da lui tanto amato, e su cui scrisse questa stupenda pagina, all’interno del saggio su Gian Martino Spanzotti del 1958. Stupendo rileggerlo.
Per scendere al concreto dell’esemplificazione, io ricordo come nelle visite che, ragazzo, facevo alla Pinacoteca di Brera, vicino a tant’altre pale, il polittico di Vincenzo Foppa mi desse, e non sapevo spiegarmi come, né d’altronde pago del calore che me ne derivava insistevo nel chiedermelo, l’impressione d’un grande armadio domestico, finito nelle sale d’un palazzo per le strane combinazioni di qualche trasloco o di qualche testamento; un po’, insomma, quello che dalle nostre parti si chiama “ el vesté”. Appetto quello delle opere circonvicine, l’oro dei suoi scomparti mi sembrava, lo ricordo bene, tanto meno lussuoso e tanto più vero da confondersi col colore e la sostanza stessa d’un legno stagionato, che avesse custodito per generazioni e generazioni i corredi di chissà quante spose, la biancheria di chissà quanti parenti e tutto lo strano armamentario d’oggetti e cose che piano piano, col tempo, in quegli armadi va a finire.
Passati i tumulti dell’adolescenza, in cui molte cose m’attrassero senza darmi, non dico la quiete, che forse è un bene impossibile, ma neppure la dolorosa pace di coscienza che dà l’accettazione del reale, e rivisitate quelle sale, l’impressione e con essa quell’immagine mi riapparvero come se risalissero dal fondo della mia stessa esistenza a prendermi per mano in un’onda di commozione; una commozione che mi sembrò allora e mi sembra tuttavia simile a quella che si prova rivedendo dopo una lunga assenza la propria madre.