Una giornata londinese, di gran carriera, con visita a Leonardo, Richter e Kiefer.
Prima tappa, Leonardo. La mostra è sotto le aspettative. Provo a elencare una serie di motivi di perplessità. La principale: il titolo evidenzia che è stato messo al centro il lungo e decisivo periodo di Milano. In realtà i riferimenti di contesto, che sarebbero di grande importanza per capire e per approfondire Leonardo, scompaiono: il percorso si cristalizza attorno ad alcune opere totem, frutto di prestiti eccezionali, e ci gira attorno senza proporre addentellati che sarebbero secondo me necessari per capire meglio le opere stesse. Oserei dire che c’è una sorta di feticizzazione dei capolavori che vengono estratti da contestualizzazioni troppo stringenti.
Il caso più clamoroso mi sembra quello delle due Vergini delle rocce, che per la prima volta nella storia si trovano nello stesso ambiente e che non vengono indagate per la loro novità più straordinaria che mi sembra sia la concezione del paesaggio. Leonardo a Milano libera questa nuova visione della natura che cresce nell’osservazione precisa e costante del corso dell’Adda piuttosto che delle prealpi.
Una seconda perplessità è logistica: la mostra è sistemata al piano meno 2 dela Sainsbury Wing: sono sei sale di cui una sola grande, stipate di gente all’inverosimile (bastano a naso 250 persone per fare il full). C’è poi una settima sala al piano più due nel lato opposto della National, dove sono stati raccolti tutti i disegni preparatori per il Cenacolo. Lì ovviamente metà delle persone non ci arriva e così la visibilità è garantita. Tra l’altro è la sala più sorprendente, che inizia con quel micro taccuino su cui Leonardo aveva annotato la celebre descrizione del suo Cenacolo e poi presenta in sequenza una serie di disegni stupefacenti, il san Bartolomeo in particolare. C’è anche un primo abbozzo dell’Ultima Cena, con un san Giovanni che si è abbandonato sul tavolo, con le braccia sotto la testa, come in un cedimento al dolore (immagine in alto).
Al catalogo ho dato per ora solo una breve scorsa. Ma quando mi sono fermato sulla pagina che racconta in modo ultrasommario il dibattito che aveva infiammato la Milano di quegli anni attorno al tema dell’Immacolata Concezione, ho avuto conferma delle mie sensazioni. La questione è chiave per capire il mistero della Vergine delle Rocce, e Ballarin nel suo libro che aleggia un po’ come un fantasma messo in castigo, gli dedica decine di pagine con una ricostruzione che diventa anche un magnifico spaccato della Milano di quegli anni. Ma a Londra oltre che Ballarin hanno fatto sparire anche Milano.
PS: Dovessi portarmi via un’opera mi prenderei il cartone con la Madonna e Sant’Anna (sotto, un particolare). Non avevo mai fatto caso che la Madonna fosse in braccio a sua madre tenendo poi a sua volta in grembo il Bambino. Ma è l’affondo dei neri in quel cartone che dà veramente la vertigine. Guardandoli da vicino ci si perde dentro. Sono magnetici esattamente come il paesaggio della Vergine delle Rocce parigina.
[…] mostra di Leonardo ha già scritto bene Robe da Chiodi e io non saprei aggiungere altro. Ecco, forse aggiungerei un grazie ad Arturo Galansino, uno dei […]
A LONDRA PER GUARDARE DAVVERO LEONARDO | NO NAME
20 Dic 11 at 4:15 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Bè, Giuseppe, è la prima mostra su uno dei grandi geni della storia dell’arte in cui l’inedito ha tutta l’aria di essere una corretta attribuzione… Non mi pare poco di questi tempi …Abbracci!
cristina
8 Gen 12 at 3:18 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
non è poco, hai ragione. eppure, fatti tutti gli “chapeau” del caso, mi sento di dire che la mostra obbedisce a una filosofia un po’ vecchia. anche i geni se li contesualizzi hanno solo da guadagnarci… un abbraccione
gfrangi
8 Gen 12 at 10:19 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>