Grazie agli amici Cristina e Luca reduci da Parigi, ho avuto tra le mani il catalogo della grande mostra sulle collezioni dei fratelli Stein (Leo, Gertrude, Michael più Sarah) che si sta tenendo al Grand Palais di Parigi. Una mostra assolutamente straordinaria, sia per la qualità in sé sia per l’intensità del momento che viene documentato: un momento breve (in pratica l’apice va dal 1905 al 1911), ma con quale concentrazione di novità! Nelle case parigine degli Stein, americani di San Francisco arrivati in Europa, decollano i geni di Picasso e di Matisse, intercettati proprio nel momento del loro spalancarsi al mondo. Anni brevi, in cui i loro prezzi sono ancor abbordabili il che permise ai fratelli ricchi ma non miliardari di mettere insieme delle collezioni da urlo in pochissimi anni (e faranno presto anche a perderle).
Quadro emblema della mostra è il ritratto della moglie di Matisse, datato 1905, e intitolato Madame Matisse à la raie verte. È il quadro che segna l’inizio della stagione fauve e che sconcertò tutti per quel raggio verde che attraversa in verticale il volto della signora. Misura appena 40 cm per 32 e oggi è conservato al museo di Copenhagen. È un quadro con un’energia icastica degna di un mosaico bizantino, pur nella “corsività” tutta borghese che lo permea. Un “quadro bomba” per quell’esplosività coloristica primordiale e futuribile nello stesso tempo. Ma soprattutto è un quadro che s’inoltra per terre vergini; un quadro sorgivo, da cui si origina una storia, un percorso che prima non era stato neanche immaginato.
Nell’arco di pochi anni Picasso (preferito da Leo e soprattutto da Gertrude) e Matisse (acquistato a man bassa dai coniugi Michael e Sarah), si scatenano in una gara che riempì quei muri di una quantità inimmaginabile di capolavori. Sono come presi dall’energia propria degli iniziatori e non è un caso che vadano ad attingere anche all’arte africana (Matisse un istante prima di Picasso). Hanno una visione tremendamente certa di quel che devono fare, non sono sfiorati dalla minima esitazione. Prendono la vita in blocco e frontalmente, senza l’interferenza dei dubbi e dei problemi. «Decontracté» era stata la definizione di Balla e Boccioni invitati ai celebri sabati di casa Stein: il termine non è facilmente traducibile, perché indica un “disimpegno” rispetto a quel che bolliva nel mondo, una mancata implicazione con la storia, ma anche una sorta di libertà superiore.
Picasso e Matisse si ritrovano con lo sguardo che potrebbe avere solo chi nascesse avendo già la coscienza formata di una persona adulta (secondo quell’intuizione geniale, coniata in altro contesto da don Giussani): la sorpresa potente del mondo svelato diventa l’orizzonte totalizzante della coscienza.
Certo, il 900 poi ha preso tutte altre strade. Ma ri-sperimentare oggi, nell’urto che la mostra parigina propone, quell’inizio di secolo, lascia viva l’ipotesi che non si debba per forza morire avvitandosi nella negatività.
Da imbrattatele e da uomo continuo a rileggere le ultime righe di questo post in cui termini dicendo che “non si debba per forza morire avvitandosi nella negatività” e il desiderio di “ri-sperimentare oggi quell’inizio di secolo” fatto di sguardi maturi espressi da occhi neonati mi riempie di nostalgia. Ora spero solo che un giorno questa nostalgia riempia le mie opere. Grazie
Giovanni Savio
8 Nov 11 at 9:34 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>