Mentre è in corso la mostra alla Tate Gallery, la galleria Marian Goodman di Parigi sta esponendo gli ultimi lavori di Gerhard Richter. il catalogo contiene un saggio di Benjamin H.D. Buchloh. Da cui ho ricavato questo spunto, che mi sembra particolarmente allineato alle frontiere che Richter in questi tempi sta frequentando (il corsivo nel testo è mio). Nell’immagine: 6 Standing Glass Panes, in mostra a Parigi.
«Con questi nuovi dipinti, Richter si interroga sul modo in cui la credibilità della pittura può essere conservata di fronte al recente sviluppo della tecnologia dei media e cultura digitale. Lo statuto della pittura è molto fragile, e per quanto sia stato potentemente formulato nella sua assimilazione con le sfide tecnologiche, la pittura appare nuovamente indebolita nel rapporto con innovazioni tecnologiche. Tuttavia, applicando la strategia duchampiana per riunire tecnologia avanzata e pensiero critico sulla pittura, le opere sorprendenti di Gerhard Richter aprono un nuovo orizzonte di domande. Potrebbero riguardare la funzione attuale di ogni progetto pittorico che non vuole fare passi indietro in rapporto alla pittura del passato, ma che vuole confrontarsi con la distruzione della esperienza pittorica attraverso la pratica stessa della pittura, in contrapposizione radicale alle tendenze totalizzanti della tecnologia, e come atto palese di denuncia della perdita subita dalla pittura, quando si mette sotto l’egida della cultura digitale».
Il link alla mostra parigina
Una bella galleria fotografica della mostra
Sì, anche a me ha colpito tantissimo quest’aspetto di Richter, che viene fuori in questa mostra.
Da una parte vediamo l’estremo coraggio con cui affronta Duchamp apertamente e in modo estremamente diretto, cercando di mostrare un’altra possibilità, per ribadire la non-morte della pittura “retinica”.
Allo stesso tempo si ha sensazione che lui stesso continui in realtà a chiedersi se sia veramente così.
In questo senso segue una linea secondo me ormai chiara nella pittura moderna, che va da Cezanne, a Giacometti, a Duchamp (e anche Bacon), e si distingue dall’altra più grande linea, chiamamola “surrealista” della pittura. Quest’ultima accetta il gioco della pittura come mondo a sè stante, ricco di suggestioni e mondi ma indipendente dall’esperienza della realtà.
La prima, invece, è una linea che nella pittura cerca il REALE, e allo stesso tempo, per un motivo di onestà, definisce ed esprime la pittura come uno strumento estremamente semplice, limitato, quindi sempre inadeguato rispetto alla “infinitezza” del reale.
Una parte dei quadri di Richter si pone proprio questo problema. Però in molti è come se attestasse la cosa con rassegnazione… Con una certa schizofrenia forse dovuta (mi arrischio a dire un po’ sfacciatamente) a molto coraggio e poco pensiero.
Beatrice
30 Ott 11 at 8:59 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
O forse la schizofrenia è dovuta semplicemente a un approccio molto di pancia, nonostante un rapporto con la materia e con il fare molto tedesco (preciso). In ogni caso è un grande pittore.
Beatrice
30 Ott 11 at 9:06 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>