Ieri incontro su Leonardo e l’acqua al Diocesano. Tanta gente, oltre ogni mia aspettativa. E tanta gente che vedevo stupita del racconto assolutamente elementare che ho provato a tracciare sul tema. Un’esperienza che mi ha portato a capire alcune cose. La prima: Leonardo è uno dei pochissimi grandi del passato che noi viviamo come un file ancora aperto. È uno che non ha mai chiuso i conti, per questo ce lo ritroviamo più vivo che mai davanti a noi. La seconda: che Leonardo è un genio dell’osservazione. Osserva e poi descrive con tutti gli strumenti che ha a disposizione: dal disegno alla parola. In questo è davvero sistematico. La terza: è un genio frammentario. Leonardo vive con il taccuino in mano e raccomanda ai suoi allievi di fare altrettanto. Un modo per annotare e approfondire la conoscenza degli spezzoni di realtà che incontra. Ma i taccuini non diventano mai trattati. Non vengono mai sistematizzati in un insieme. Per questo ci lascia in eredità un’immensa quantità di file aperti. Davvero come l’acqua “non ha mai requie” (parole sue). La quarta: guardando vicino, osservando l’infinitesimale, aveva una capacità di visione che ancora lascia affascinati. L’osservazione circoscritta diventa con lui un metodo per spalancare orizzonti. La quinta: l’osservazione ha una mortivazione nella ricerca di verità. Rimando alle grandi parole di Gadda: «Fantasioso, certo, può dirsi il suo peregrinante ingegno, in quanto precorre bene ogni possa dell’arte ( nel senso di tecnica) e del secolo suo: ma da qui, questo riscontro, appare anche confermata una misura di ragione, un rigore dell’osservazione: una conoscenza faticata e vissuta, e infine propria, di molte cose della natura. Non arbitrio o gioco: ma un lento cammino della indagine, verso lontane, forse, ma già intravedute verità».
Bisognerebbe davvero riaprire il file Leonardo. Il libro di Ballarin offre l’occasione, oltre che un’infinità di spunti. È il momento giusto (in particolare per Milano) per un workshop su e “con” Leonardo.