«Jean Clair non chiede più all’arte di essere domanda sul mondo, ma piuttosto una conferma del già dato e del già vissuto. La sua è una sfiducia nel futuro, vede l’arte come una minaccia». Per me si potrebbe chiudere qui, con queste parole di Achille Bonito Oliva, la polemica estiva lanciata dal Corriere della Sera dopo l’uscita in Francia del pamphlet (non il primo) di Jean Clair contro l’arte contemporanea (L’hiver de la culture). Mi sembra che Abo colga la questione, che va oltre una valutazione dei valori in gioco, delle furberie mediatiche a cui tanti artisti oggi ricorrono, dei giudizi che la storia poi darà. La questione è più radicale e riguarda il senso di fare arte oggi, il nesso con la vita del mondo e degli uomini. La prospettiva di Jean Clair è una prospettiva ultimamente accademica, che chiude fuori dalla porta le convulsioni del mondo e mette l’arte in una sorta di riparo morale e intellettuale. Francamente la trovo una prospettiva poco interessante. Non mi interessa che un pittore dipinga bene, mi interessa che la sua pittura si giochi con la vita del mondo. Non mi interessa una prospettiva in cui l’approdo del fare arte sia il muro privilegiato di un qualche collezionista “ben educato” ai valori dell’arte (e molto sensibile a quelli del mercato).
Mi guardo bene da chi propone qualsiasi ricetta schematica, perché in questo modo viene precluso all’arte la sua vera ragion d’essere: che, come dice Abo, è quella di “essere domanda”. E può essere domanda un grande quadro di Lucian Freud, come l’immenso cuore d’acciaio smaltato di rosso di Jeff Koons (in alto, nell’allestimento a Versailles). E mi fa sempre molto pensare il fatto che Francis Bacon, artista sempre parco di sentenze, avesse individuato in Damien Hirst il proprio erede…
Post scriptum: spesso mi capita di girare oper musei e gallerie con i figli e amici dei figli. Mi ha sempre colpito come la “grammatica” dell’arte contemporanea demonizzata da Jean Clair faccia invece facilmente breccia nella loro curiosità e metta in moto pensieri ed emozioni, sepsso non banali. Immagino che questa accada per affinità di linguaggi e per quell’apertura al futuro di cui parla Abo.
Intanto, bisognerebbe definire che cosa si intende per “arte”. E non credo proprio sia “domanda” di qualcosa, ma piuttosto esigenza di espressione. Secondo, l’arte, anche antica, è sempre contemporanea, vive e parla anche oggi, pur che raggiunga un valore di comprensione universale. Gli antichi graffiti, Giotto, Mantegna, Caravaggio, Picasso parlano oggi come ieri perchè l’uomo di oggi vi si riconosce. Insomma, l’arte antica, moderna e contemporanea è un lungo filone espressivo (come la lingua), con artisti veri e non veri. Anche allora, nel passato, c’erano artisti veri e artisti meno veri spariti nel tempo. E , oggi, 2011, ci sono artisti validi e molti, molti, meno bravi, cioè non artisti, ma personaggi che hanno trasformato l’arte in giochi di pessimo gusto. Asini appesi e Ciccioline in amore non reggeranno certo i secoli. Lo diranno, meglio di moi, le future generazioni. A chi guarderanno, a Giotto o all’asino appeso? Ha ragione Clair,che non riconosce come arte espressioni che arte non sono.
Maurizia Tazartes
10 Ago 11 at 3:17 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Carissimo Giuseppe, mi precipiterò a cercare il pamphlet di Jean Clair,e a leggere l’articolo di B.Oliva. Se posso dire il mio pensiero da povero artista, arte è soprattutto una scommessa che l’artista fa con il suo Profondo Sconosciuto per vedere se da laggiù viene una miracolosa risposta . Per fare ciò le prova tutte tradizionali e no , la verifica è la vita ma solo se sei vivo puoi verificare. Non sarebbe forse inutile rileggere certe pagine di Pareyson.
Adesso che so che ci sei come blog ti leggerò
ciao Fosco
Fosco Bertani
11 Ago 11 at 12:45 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Carissimo Fosco, proprio per l’urgenza da cui parti ti consiglio di non inseguire Clair o Bonito Oliva. in fondo sono dibattiti che lasciano sempre le cose come stanno… molto meglio stare in copmpagnia delle lettere di van gogh, delle interviste di Bacon. O anche del manuale per Giovani artisti di Hirst.
un abbraccio
Giuseppe
gfrangi
11 Ago 11 at 1:23 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Sono in disaccordo con tutti, un po’ con Clair anche se stimo Bonito. Quando il cervello comincia a girare a vuoto mi aggrappo ai fondamentali, che in questo caso (arte o non arte) sono: quest’opera mi suggerisce una nuova interpretazione? Può essere che non avrei mai formulato quella prospettiva, oppure era già latente in me, ma è nuova anche se contraria alla mia visione? Quella è arte! Se poi intuisco che l’opera è un distillato di un percorso e non una felice trovatina, quello è un artista! Se poi sapessi veramente cos’è una opera d’arte, la farei senza qui stare a perdere tempo con voi, con Clair o con Bonito!
LUIGI5
23 Nov 11 at 6:50 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Francamente sono stufo della legittimazione “filosofica” dell’arte contemporanea da parte di sedicenti meitre a penser come Bonito Oliva. “Domanda sul mondo”. Cosa significa? Interrogazione esistenziale, gnoseologica? Senza l’impalcatura teorica e la verbosità pretenziosa di alcuni critici d’arte, parecchia dell’arte contemporanea rivelerebbe tutta la miseria del proprio vuoto di senso, della propria infinita banalità mascherata da sensazionalismo. Ben vengano i Jean Clair e i Robert Hughes.
Zamoran
3 Dic 11 at 9:31 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Solo da due secoli l’artista è assurto da artigiano prestigioso a oracolo di verità, da cui i sacerdoti della cultura leggono i responsi e anche i “perché” a cui dare i responsi. Questo da quando, più o meno l’arte ha abdicato all’icona e alla contemplazione del Sacro nella natura e nell’Uomo e anche religioso, storico, civile, e ha dovuto compensarlo con la sacra angoscia del “Perché?”. Poi, dove c’è una natura d’artista, il vero si manifesta lo stesso. Ma il vero si limita all’anelito del vero, alla vera solitudine spirituale dell’uomo, al suo doloroso odio per sé stesso, alla sua colpevole sofferenza. Non c’è da litigare su chi ha più colpa: se è dell’arte in genere, o del mercato, ultimo committente possibile, o dei Critici, anche loro artisti della parola al servizio del committente-mercato. Oggi come sempre, l’Arte non è che il colore del pensiero dell’epoca. Nel nostro pensiero, almeno nel pensiero dominante, c’è questo: idolatria della produzione materiale, idolatria del sesso, disprezzo per la vita, relativismo senza credo, attrazione per il demoniaco in tutte le sue forme, dalla droga al degrado. Un Rinascimento non comincerà dall’arte, ma dall’amore per la vita umana.
giorgio del lungo
27 Feb 13 at 12:23 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
“non mi interessa che un pittore dipinga bene” con questo lei descrive il nostro mondo. Non interessa neanche che un muratore costruisca bene, ne’ che un medico curi bene, ne’ che un insegnante insegni bene, ne’ che un contadino coltivi bene. E inesorabile l’oblio della qualità, come in un dialogo in cui strillare sia la modalità, una discussione profonda sprofonda nel inaudito.
carlotta scarpa
3 Mar 13 at 7:05 am edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
In realtà la frase completa è: “Non mi interessa che un pittore dipinga bene, mi interessa che la sua pittura si giochi con la vita del mondo”. Se vogliamo stare ai paragoni che lei propone, siccome della pittura si può fare a meno mentre non si può fare a meno di medici e contadini, significa che il far bene di un pittore è già di per sé qualcosa di diverso: deve contenere le ragioni del proprio fare. L’abilità nel suo caso non basta. Anzi molte volte si trasforma in alibi che nasconde un vuoto di ragioni e di pensiero.
gfrangi
3 Mar 13 at 1:34 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>