Ho sempre avuto un debole per Giacometti. Un po’ perché viene da un paese e da montagne stupente come quelle di Stampa e della Val Bregaglia. Un po’ perché l’ho sempre stimato il suo modo di rapportarsi con le persone, a cominciare da sua madre e da sua moglie Annette (stimata per quanto tradita). Un po’ perché ha il pregio raro di essere solidale con le attese acute degli uomini del suo tempo. Giacometti è un genio fratello.
Per questo sono contento che abbia stabilito un incredibile record di asta con il suo Uomo che cammina (75 milioni di euro a Sotheby’s di Londra). Chi non si sente soggetto di quell’opera? “Bronzo a taglia umana” è stato definito nella scheda di presentazione per l’asta londinese. Quell’uomo è ciascuno di noi, per una volta considerato più caro e di maggior valore di tutti i capolavori dei saltimbanchi del 900. Giacometti è roba “nostra” (guardatelo mentre cammina, alla Biennale 1962, a fianco del suo Uomo che cammina, fotografato dall’occhio folgorante di Cartier Bresson; ha la stessa inclinazione, che è anche la nostra). C’è dentro un impeto in quel passo; una decisione presa, un’inquietudine che non ferma l’azione ma semmai la alimenta. È l’uomo che non si accontenta di sé, il suo stare consiste in un andare. Cartier Bresson lo ha capito e ha preso la scultura dal lato giusto: cioé non frontale. Dell’Uomo che cammina è fondamentale quell’inclinazione del busto, quel suo proiettarsi in avanti.
Sentite come rispose a una domanda di André Parinaud: « Perché troviamo bella una cosa? Perché un albero, o il cielo, o un volto, ci sembra bello e non banale? Qualcuno ritiene che la realtà sia banale, che le opere d’arte siano più belle. Per me non è più così! Un tempo andavo al Louvre e i quadri o le sculture mi davano un’impressione sublime… Le amavo nella misura stessa in cui mi davano più di quello che vedevo della realtà. Le trovavo veramente più belle della realtà stessa. Oggi, se vado al Louvre, guardo la gente che guarda le opere. Il sublime oggi per me è nei volti più che nelle opere… Tutte quelle opere hanno un’aria così misera, così precaria, un percorso balbuziente attraverso i secoli, in tutte le direzioni possibili, ma estremamente sommario, ingenuo, per circoscrivere un’immensità formidabile – la vita. Ho capito che mai nessuno potrà coglierla compiutamente… È un tentativo tragico e risibile». (qui la trovate in integrale)
speravo scrivesse qualcun altro. Non si può lasciare questa immagine senza un commento. O forse si può nel senso che è di più di ogni commento. Il corpo dell’uomo scarnificato che cammina. Scarnificato non dal rimorso dell’uomo su se stesso ma dal cielo stesso in cui si inoltra, piegato per il controvento. Il cielo di fuoco (sidereo) lo corrode dal di fuori e il corpo, come il roveto ardente, diventa sempre più consistente, nodoso concentrato. Nella foto mirabile un furtivo Giacometti, conscio della sua pochezza (forse un Dio antico potrebbe fulminarlo) corre piegato controvento a collocare quella sua statua smangiata di uomo dentro un museo, tenendoselo in braccio come un figlio divino perchè sa che, se ogni uomo vivo è più vero della sua statua, la sua statua è tutti gli uomini vivi smangiati e temprati dal cielo.
paola marzoli
7 Feb 10 at 11:17 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
…un furtivo Giacometti, conscio della sua pochezza (forse un Dio antico potrebbe fulminarlo) corre piegato controvento…
bellissimo, grazie
com’è bella l’osservazione del particolare di Giacometti che tra le labbra tiene l’etichetta della scultura
giuseppefrangi
8 Feb 10 at 12:17 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Il “furtivo Giacometti” di Bresson é in effetti un’immagine molto bella: e chissà che nel gioco di rimandi non si possa rivolgere uno sguardo all'”uomo che salta” della foto piu’ famosa (“L’instant décisif”) del sopracitato Bresson (http://www.paristribune.fr/photo/1626455-2187034.jpg)
Renato Chiapparicci
10 Feb 10 at 4:51 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Grazie a Renato per la foto del salto e torno a giacometti- bresson perché non finisce di commuovermi. Bresson ‘ci vedeva’. Vedeva il saltatore e la pozzanghera che era tutto il piano specchiante. Ma la ‘cosa’ grande che fa salire a picco l’emozione è fatta a due. Uno che fa un gesto insieme inusitato e carico, come correre in un museo stringendosi al cuore una statuetta bruttissima (se paragonata con prassitele), tenendo tra i denti un cartellino (con su scritto il suo nome e forse le misure della statuina), e un altro che lo ‘vede’. Mi commuove la grazia di questi colpi di luce improvvisa nell’uomo. Perchè la realtà c’è. Ed è talmente piena di nessi di senso da non riuscire a tenerli. La realtà viva c’è sempre e di quando in quando improvvisamente uno la vede (come le apparizioni della Madonna che è sempre presente e di quando in quando qualcuno la vede). Cosa ha visto Bresson? Non lo sapeva ma ce lo ha passato da vedere. Un uomo che vuol aiutare Dio nella creazione e corre a mettere il suo prodotto già sapendo di aver osato troppo? E’ così brutta la sua statua! E poi i cartellini in bocca li portano i cani ai padroni. Ma anche il mio fratellino quando imparava a scrivere, e ce la metteva tutta, stringeva la lingua fra i denti.
Non c’è nulla di più commovente di un autore, artista o bambino che sia, che mostra la sua opera quando ne è stato colpito come da un miracolo. Però anche quelli che sanno tutto a volte sono tramite, a loro insaputa, di miracoli. E l’opera cresce e si manifesta con noi che la guardiamo e che un giorno rivediamo giacometti come per la prima volta in un lampo di bresson e ci sembra di vedere tutta la storia dell’uomo.
E mi scappa un’altra considerazione peregrina, che proprio non dovrei: ‘Pensate se rothko avesse corso verso il papa con una tela in mano e un cartellino in bocca… ‘
paola marzoli
12 Feb 10 at 5:39 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>