Che stupore nella sarabanda di una mostra d’antiquariato mixata al contemporaneo (il Mint di Milano) trovarsi davanti a questa foto di Vincenzo Castella, nello stand dello Studio La Città di Verona. Le dimensioni sono minime, 20×20: la foto è stata scattata a Ramallah nel 2007. Il punto di osservazione, come sempre per Castella, è dall’alto. Si vede quella molteplicità di cubi bianchi, disseminati silenziosamente sulla collina, con le mille parabole tese in ascolto. È un’ora di siesta, si direbbe. È tutto nitido, a dispetto del groviglio delle strade e a dispetto delle asprezze della storia. È un microcosmo nitido, con un che di presepiale per quel senso di attesa che pervade aria e muri. Quel che colpisce di Castella è la limpidezza dello sguardo che si deposita minuzioso su ogni angolo, su ogni finestra, senza trascurare niente. Uno sguardo che tocca tutto con una grazia silenziosa e leggera. Sono foto d’architettura le sue, ma con un che di fuggente. Questo è l’attimo; il prossimo non sarà più così esatto e commosso.
Castella, Napoli 1952, è un fotografo appartato. Su internet lo si può vedere all’opera nella campagna fotografica nei Territori, davanti al trespolo e alla sua macchina, con tanto di impermeabile a mantello sulle spalle, che guarda nell’obiettivo come ad attendere l’attimo, anche se davanti in apparenza sembra immobile. Ma l’immobilità è solo un’apparenza. Dice: «Il carattere più strabiliante dell’arte della fotografia è la sua specifica proprietà di captare la totalità delle figure e dei momenti, degli spazi e degli eventi. Sempre e comunque».
Altre foto di Castella sul sito della Galleria.