Sono stato a Vence alla mostra dedicata al rapporto tra Giacometti e Maeght. Non c’erano cose che non si fossero mai viste (tolte un paio, vi dirò più avanti), ma Giacometti ti fa sempre l’effetto di non averlo mai visto prima. Ragionandoci, mi sono dato una risposta: è la frontalità come regola ferrea a cui lui sottosta. Le sue figure sono sempre prese in faccia. non guardano altro che lui mentre dipingeva e te che sei lì come visitatore. Ti guardano, e l’intensità della loro posa è tale che lo sguardo sembra proprio per te. È come essere arrivati finalmente ad un appuntamento da cui non si può scantonare. Non sono sguardi che abbiano pretese; ma accadono nell’istante in cui tu li incroci. Per questo in Giacometti non c’è mai l’effetto di cose già viste.
Cosa rechino quegli sguardi, poi sarebbe la vera faccenda da esplorare. Per me sono tesi a un punto ben preciso, che non è affatto vuoto come una lettura sciattamente esistenzialista vorrebbe far credere. Non sono tesi a un vuoto, a un non so che lontano. Dovessi dirla in breve, proverei così. Sono sguardi regolati non da un riferimento spaziale, ma temporale. Un tempo in cui gioca in realtà qualcosa che ha a che fare con l’eterno. E l’eterno con il destino.
Per questo la frontalità è condizione sine qua non. Proprio come per i bizantini. Non vedi quello che guardano, ma intuisci verso cosa guardano. Così Giacometti. Che nei quadri (che meraviglia la sala dei ritratti a Vence! Nella foto quello a Jean Genet, 1955) tiene due punti fermi. Verso i margini riquadra lo spazio della tela, come fosse uno spazio protetto, ritagliato, in un certo senso sacralizzato. Secondo punto, intorno alla testa delle sue figure spalma sempre un alone anche disordinato di colore. in genere più scuro. Come volesse proteggere il magnetismo intenso che lo sguardo genera. Oppure come fosse un effetto di ritorno, restituito da ciò che si è guardato. Un po’ com’era accaduto a Mosè che si era trovato il volto acceso dall’oggetto del suo sguardo.
Ps: le cose che non ricordavo di aver mai visto. Un gruppo di stupefacenti disegni del 1918 (a 17 anni, e già c’è lo schema del riquadro lungo i margini del foglio); e la Maison Blanche, paesaggio parigino “vuoto” del 1958.