La sorpresa a Matera è nella Cripta del Peccato Originale. Non cripta ma grotta vera e propria. Nelle tre absidiole e sulla parete laterale è sopravvissuto un ciclo di affreschi che viene riferito al IX secolo. Filo conduttore del ciclo è il terreno tempestato di fiori, con esattezza botanica: sono cisti rossi che da queste parti fioriscono ogni anno ad aprile. Il ciclo di affreschi è di impronta longobarda, con una grammatica latina proprio sul confine di un mondo ad influsso greco e bizantino. La sorpresa consiste in tanto preziosismo custodito dentro un contesto di tipologia del tutto opposto: roccia, superfici sconnesse, esposizione alle intemperie.
C’è molta grazia nelle pitture della cripta. C’è grazia nel disegno degli abiti, come quello di Maria che ha righe leggere bianche e blu su una veste “matissiana” tessuta d’oro con geometrie ornamentali bianche. La superficie ruvida della roccia è vinta grazie alla stesura di un fondo bianco splendente, colore ottenuto con polvere d’alabastro. Ci sono sorprendenti e rare soluzioni iconografiche, come quella della donna che gioisce, braccia al cielo, in quanto personificazione della luce appena creata da Dio. Ha un abito con grandi maniche a sbuffo, che sembrano disegnate da uno stilista audace. C’è molta modernità nel tracciato delle aureole, immaginate come grandi dischi gialli chiusi da una vistosa cornice nera.
I giorni di Matera erano iniziati da una altro contesto spoglio: una visita a La Martella, l’insediamento che per iniziativa di Adriano Olivetti era stato immaginato come soluzione alla “vergogna nazionale”della gente costretta a vivere nei Sassi. Oggi resta poco di quel sogno, pensato con grande intelligenza e attenzione al fattore umano. Un dettaglio basta: per evitare la contiguità tra uomini e animali senza creare traumi, la stanza dove dormivano i genitori era stata progettata come dei vetri che permettessero di tenere sempre a vista l’asino, bene prezioso. Come ha scritto Giancarlo De Carlo parlando del lavoro dei progettisti «la conoscenza sensibile ha insinuato loro il dubbio che il trasferimento significava in qualche modo violenza e che era necessario preservare con infinita cautela gli irriproducibili valori della comunità originale. Questa coscienza ha controllato e diretto tutta la loro azione». Oggi resta la bella e semplice Chiesa progettata da Ludovico Quaroni, con il tiburio squadrato in tufo che ricorda nella forma e nella solidità il campanile del Cattedrale di Matera e che all’interno è abbellita dalle ceramiche di Andrea Cascella. La chiesa stava al centro del complesso. Le piccole unità abitative, bianche e basse, si distaccavano ordinatamente da quel perno con un andamento mosso. A guardare la planimetria di quello che avrebbe dovuto essere l’insediamento, emerge l’immagine di un fiore, dove le fila di case compongono la corolla e la chiesa fa da pistillo. Molta grazia anche qui. Un altro fiore per Matera.