A leggere e sfogliare il libro appena uscito Pietro Toesca e la fotografia (Skira, 40euro) si capisce quanto sia decisiva la capacità di sguardo. Toesca è stato uno dei maggiori storici dell’arte italiani. Con lui a Torino si laureò nel 1911 Roberto Longhi. È autore di un libro che Longhi stesso avea definito «il più gran libro apparso in Italia negli ultimi 50 anni». La pittura e la miniatura in Lombardia era uscito sempre in quel 1911 (io l’ho letto nell’edizione Einaudi, copertina grigia. Oggi non è più sul mercato). Toesca è uno dei primi storici ad accorgersi della funzione fondamentale della fotografia, sia a livello didattico (allestiva delle dispense di sole immagini per permettere agli studenti di seguire i suoi corsi: nel libro due serie di quelle immagini sono state affiancate dagli appunti del corso ritrovati negli archivi); sia a livello di ricezione dell’opera. La fotografia non è uno strumento oggettivo e Toesca ne era perfettamente consapevole. Forzando la mano di un fotografo d’eccezione come l’architetto Giuseppe Pagano riesce a farci sobbalzare davanti alla Pietà Palestrina che oggi nessuno assegna più a Michelangelo. È la forza dello zoom, dei tagli delle immagini, delle luci che rendono drammaticamente pulsante la pietra. Le incertezze dell’insieme così vengono sopraffatte dall’energia dei particolari.
Le campagne fotografiche dirette da Toesca sono guidate da una regia precisa e coerente che guidano dentro le immagini: così quelle di Assisi, dove il nome di Giotto sembra balzar fuori a caratteri cubitali nella chiarezza formale e spaziale dei tagli. Oppure quelle del battistero di Castiglione Olona dove Masolino è indagato anche laddove la salsedine sembra mangiarsi tutto; o quelle di Civate che anche editorialmente rappresentarono un capolavoro.
Il tutto è spiegabile solo con quella capacità di sguardo che è di pochi; e che soprattuo pochi sanno fissare e rimbalzare ai nostri sguardi. Da Toesca discende il Piero di Longhi (1926) che sceglie un linguaggio delle immagini sulla stessa falsariga. E, aggiungiamo noi, anche il Testori del Gran Teatro Montano (non per un caso uscito da Feltrinelli, editore popolare, perché la capacità di sguardo ha questo pregio: parla a tutti, non solo agli specialisti).
Domanda: l’immagine usata per la copertina venne scattata da Giraudon negli anni 30. Un’immagine che palna sul capolavorodi Michelangelo senza gonfiarlo di retorica. È un’immagine che aderisce alla pietra, che è un punto di vista ma non falsa l’oggetto, ma te lo fa conoscere, te lo fa “vedere”. Chi sa fotografare oggi così lo Schiavo morente?
Vero! Toesca uno dei più grandi storici, sapeva vedere e mostrare ai non “vedenti”.
ilderosa
3 Ago 09 at 6:37 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>
Sono d’accordo. Il suo libro su Pittura e miniatura in Lombardia resta un libro epocale, per livello intellettuale e per la passione che comuqnue lo origina.
giuseppefrangi
4 Ago 09 at 5:54 pm edit_comment_link(__('Edit', 'sandbox'), ' ', ''); ?>