Antonio Latella Piccolo Teatro, 29 ottobre
Una delle cose che Testori cercava era il rapporto con il pubblico: lo scuoteva, in un maniera anche potentissima. Il pubblico lo voleva là (e indica lo schermo dietro il palco dove viene proiettata la sala durante tutte le prove, ndr); voleva un pubblico attivo e non passivo, che potesse reagire e far sentire la sua voce. Quando scuoti il pubblico non vuol dire non amarlo, vuol dire amarlo di più. Quando bestemmi Dio non vuol dire non amarlo, ma amarlo di più perché ne hai ancora più bisogno. Quindi questo rapporto pubblico-attore è una delle domande che mi sto facendo in questo periodo del mio percorso. Bottega amletica ha fatto una call e ha scelto non solo degli attori ma anche otto spettatori che sono stati adottati da ciascun attore e che stanno seguendo in diretta il processo creativo. Gli attori raccontano al loro “spettatore” quello che è stato fatto, stilando un diario quotidiano.
Questa esperienza della Bottega mi ha riproposto la parola “fallimento”: riflettevo sul mio percorso come regista, sul fatto è che ho portato in scena tre Amleti. Mi sono chiesto perché? Una delle cose più importanti è l’accettazione del fallimento. Quando tu affronti Amleto tu sei piccolo piccolo, comunque lo fai fallisci. Se non hai paura di questa parola, questa parola ti aiuta a cercare a crescere. È un motore di ricerca. E credo che condividere questa cosa con il pubblico è importante; vedere gli attori che qui sul palco si espongono anche con i loro errori è importante. Sentire che la ricerca non è tutta forma ma è fallimento, è importante. Ho sentito il bisogno di dire questo oggi a chiusura delle tre lezioni pubbliche che abbiamo fatto. Ogni volta che ho fatto Amleto ho fallito. Ma sono contento di aver fallito, perché se in Amleto trovi la soluzione sbagli. Amleto inizia nel testo originale con “Chi è là?”. Pazzesco. Un testo che si apre con una domanda. E non c’è una risposta. “Rispondi, te lo impongo. Fermo, svelati”, dice Orazio. Non c’è una risposta. Ed è questo il punto della ricerca di Testori: non è la risposta ma è la domanda. Ed è quello che mi sono chiesto quando abbiamo iniziato Bottega: dobbiamo lavorare sul fatto che Testori non è la risposta ma è la domanda. Quello che io penso di Testori, è condizionato dal mio vissuto. Quello che voi potete dare a Testori (rivolgendosi agli attori e al pubblico giovane in sala) lo potete dare solo voi. Prenderlo come fardello, caricarlo sulle spalle e accompagnarlo dentro il XXI secolo. Credo che sia una delle possibilità più grandi che stiano accadendo in questi giorni. Per questo volevo ringraziare sia loro che voi pubblico che siete qui.
Non so se è nato prima il tempo o la parola. C’è un tempo reale, un tempo naturale, un tempo teatrale. Amo gli spettacoli che lottano contro il tempo teatrale, e cercano un tempo reale, nonostante che quando il pubblico sente un tempo reale sul palcoscenico si annoia perché lo riconosce e vuole invece il tempo teatrale, giustamente. Ci sono degli autori che hanno un tempo pazzesco: vengo dal fare un Goldoni che ha un tempo meraviglioso. Anche Testori ha un tempo. Testori anzi ha una musica. Ogni suo Amleto ha una sua musica. La sceneggiatura per Amleto ha una musica dilatata, perché è una musica che spesso ha periodi lunghi, senza virgole, senza punti. Spesso chiedo agli attori di non pausare là dove non c’è la pausa, ma di consegnare la parole nella sua lunghezza. La sceneggiatura è fatta di questo. È come se con la parola creasse uno spazio, una proiezione e in questa proiezione si inserisce il dialogo. Ma è parola nella parola, non è parola nell’immagine. È la parola che fa l’immagine e poi il dialogo sta nella parola.
L’Ambleto ha un ritmo teatrale, ha una musica teatrale; loro si divertono moltissimo a leggerlo perché lo riconoscono immediatamente. Ha un ritmo, una potenza, è tutto giocato sul meta teatro: nella prima parte fanno finta di essere personaggi, poi non sono personaggi, poi finalmente diventano personaggi, con quella veemenza, con quell’energia che richiede il testo teatrale.
E poi c’è l’ultimo, Post-Hamlet: non è un gioco quello di proporlo a ritmo rap, perché è incredibile come Testori avesse questo tempo del XXI secolo. Forse per questo non è stato capito nel XX secolo. Perché non ne rispettava il tempo. Spesso lo recitavano dilatando il tempo, là dove non c’era bisogno di dilatarlo. Quindi rischiava di essere noioso. Invece ha un tempo pazzesco. Io sono del 900 e quando lo leggo lo leggo con un impeto condizionato dall’aver visto gli spettacoli con Branciaroli. Per me recitare Testori è un tamburo incredibile, mi spacca, mi squarta. La prima volta ho letto agli attori come lo farei io, cosa che in genere non faccio mai. Perché volevo che sentissero che c’è una musica dentro; dentro questa carcassa Testori mette la sua musica. E credo che sia una delle cose più importanti che fa: parola, musica; tempo, parola; parola, pubblico; tempo, parola, pubblico.
Non ci può essere Testori senza reazione del pubblico, se il pubblico non reagisce non è Testori. Lui lo pretende.
Un’altra cosa che va affrontata è quella dell’eredità. La questione dell’eredità che è tanto importante per lui: guarda caso per parlare di eredità sceglie Amleto. Sapete benissimo che nel Bardo Amleto alla fine muore, muore tutta la famiglia reale; muore e lascia il regno e il futuro nella mani di Fortebraccio. Testori fa qualcosa di pazzesco, lo fa anche con cattiveria: perché bisogna essere cattivi per farsi capire e quindi si rischia di non essere amati.
Sentite come lo spostamento non viene dato ad un uomo che deve diventare re, ma viene dato ad un popolo. E dice anche “io vi odio”. La responsabilità di quello che facciamo e scegliamo ogni giorno: questo è il fallimento. La responsabilità che ci siamo presi. Questo è il fallimento. Lo dico in questo modo, perché con quello che sta succedendo, è chiaro. Ma responsabilità è il fallimento. Difatti Post-Hamlet attacca con il coro, attacca con il popolo che ha perso perché il popolo ha cancellato la memoria. Il popolo senza memoria non è un popolo. Perché non può passare quello che hanno fatto i nostri padri. Lo dimenticherà. Questo ci dice Testori: forse per questo motivo è stato meno amato dal popolo, perché chiedeva tantissimo. Credo che sia importante questo, perché riguarda la responsabilità di pensare a voi pubblico. Credo che dia un senso alla ricerca, all’essere qui in questa sala.
A proposito di parole e musica vorrei farvi sentire un pezzo che ha scritto Testori che cantava Alain, “Quando la sera”, che Alessandro Bandini ha portato ai provini. La cosa meravigliosa di questo pezzo è che non finisce. Lui lo sfuma pian o piano. È un po’ come la sua ricerca in Amleto. Non finisce: sceneggiatura, Ambleto, Post-Hamlet e poi che è ritornato alla sceneggiatura. Quindi il viaggio in questo viaggio in questi classico ha l’andamento della vita.