Robe da chiodi

Paolo Gallerani, uno scultore fuori copione

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Ho avuto modo di vedere in extremis la mostra di Paolo Gallerani alla Casa della Memoria di Milano. Una mostra forte, rude, senza fronzoli, che invadeva quegli spazi senza “un’impaginazione”. È scultura piena di dolore e di indignazione, ma che non si richiude nel lamento. Al contrario resta forte, sapientemente pensata e “costruita”. Ostinatamente fuori da ogni copione.
Parlano le foto (molto belle di Fabio Mantegna) più che le parole. Il catalogo è stato pubblicato da Officina libraria.
Sono debitore a Gallerani la scoperta di questo frammento di pensiero di Paul Virilio, messo a “didascalia” di una sua opera.

«In un mondo dominato dalla comunicazione e dagli spin doctors, gli artisti non esercitano più nessuna influenza. In una società dove l’otticamente corretto si sovrappone al politicamente corretto, non c’è spazio per artisti e pensatori. Non resta allora che l’autoemarginazione. Un artista deve guardarsi dalla celebrità, deve restare anonimo e solitario. La grandezza della povertà deve esser contrapposta alla grandezza della potenza… L’arte reale – non quella virtuale dei mercati – ha bisogno di riappropriarsi dell’anonimato e della povertà. Sul piano estetico, l’artista deve confrontarsi con l’incidente, non per godere del terrore e del dramma, ma per rivelarlo al mondo». «L’arte deve avere il coraggio di confrontarsi con la catastrofe con intelligenza e spirito critico. La vera arte contemporanea non è rivoluzionaria ma solo rivelatrice. Ci aiuta a comprendere la finitezza del mondo. Gli artisti devono inventare un’estetica non della fine del mondo ma della sua finitezza, vale a dire dei suoi limiti. Oggi il fantasma dominante è quello del binomio vedere/potere. In nome del principio di responsabilità caro ad Hans Jonas, sarebbe però necessario tornare al binomio vedere/sapere. Solo così l’arte potrà resistere all’accecamento in cui sta sprofondando»
Intervista a Paul Virilio
A cura di Fabio Gambaro, La Repubblica 12 maggio 2007

Written by gfrangi

Gennaio 12th, 2017 at 7:17 pm

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2 Responses to 'Paolo Gallerani, uno scultore fuori copione'

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  1. Bellissimo, grazie!

    La vulnerabilità non è fonte di lacrime ma di bello, di diversità e di risate. Molta arte contemporanea fa il funerale alla vita piangendo sulla vulnerabilità, sulle sue sconfitte materiali, come se ciò fosse fonte di disperazione, e allontanandosi così dalle persone.

    La paura di mostrarsi vulnerabili o di scoprire la vulnerabilità (la “povertà” di Virilio) dell’altro, è ciò che ci spinge a mollare un po’ il nostro pensiero nel momento in cui usciamo per strada, è ciò che ci rende muti e sordi ai possibili incontri, nel nome di questa “correttezza” ed “apertura mentale” che ci fa credere ridicoli i nostri tentativi di confronto vero. Per timore di rivelare i limiti nostri e degli altri, dentro di noi abbandoniamo la discussione sulla verità quando ci confrontiamo con gli altri nella vita pubblica.

    Viene da pensare, a considerare il citato Hans Jonas ed altri pensatori moderni, che la religione e la tradizione biblica (e probablmente anche altre religioni non europee) hanno sempre saputo gestire la questione della limitatezza in un modo che ancora non è stato fatto dalla cultura “ombrello” della cività industrializzata. La tradizione giudaico cristiana sicuramente ha un’idea di arte non volta all’adorazione quanto alla rivelazione di una forma buona, di una realtà terrena che indica qualcosa altro, ma all’interno di essa. Isaia nelle sue visioni è invitato a indicare la forma del tempio, le sue entrate e uscite, la sua disposizione come vero modo per mostrare le iniquità dei sacerdoti corrotti e liberarsi insieme dal degrado umano. Si capisce che il tempio è qualcosa di terreno e limitato, non un ponte magico verso chi sa dove. E’ in ultima istanza, lo sforzo di un popolo. Non è una redenzione autocreata ma un riconoscimento di significato. Anche Giovanni Battista, che dice “chi appartiene alla terra deve parlare della terra”, non fa che indicare il divino che sta in mezzo ai penitenti per farsi battezzare. Un gesto profetico, artistico, e lontano da qualsiasi desiderio di potere od onnipotenza.
    La grande differenza tra il deismo rivoluzionario europeo, o il new age occidentale 2.0, o lo scientismo, e la tradizione religiosa biblica è nella fede nella transustaziazione, questo concetto di carne e spirito (o di popolo e spirito) una chiave di volta per la nostra identità almeno occidentale, che a molti pensatori anche non religiosi rimane (secondo me per fortuna) nel sangue.

    Ho scritto troppo! Un abbraccio

    Beatrice

    15 Gen 17 at 12:24 pm

  2. Grazie a te Bea, ai pure lunga quando hai pensieri così…
    Me le segno questa idea di arte non volta all’adorazione ma alla rivelazione di una forma buona.
    Un abbraccio

    gfrangi

    16 Gen 17 at 11:13 pm

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