Robe da chiodi

Biennale 2013. Cinque pensieri

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Le sculture di Hans Josephsohn

Le sculture di Hans Josephsohn


1. Non è una Biennale ambigua, nonostante l’ambiguità del suo proposito: dare spazio all’immaginario dell’uomo, come qualcosa che si autolegittima aldilà della sua forza e del suo effettivo valore. Gioni gioca allo scoperto proponendo un tema per sua natura enigmatico. Il bianco dell’allestimento, protratto anche nelle Corderie, sino a sradicare la straordinarietà di quei luoghi, ha questo senso. Almeno, credo. Gioni comunque si conferma come il miglior regista di mostre sulla piazza.

2. A volte l’immaginario, per fortuna, anziché emergere da mente “allagate” (in sostanza perse), spunta da menti infuocate o da menti ironiche. Sono i momenti migliori della Biennale. La sala di Maria Lassnig (austriaca, 1919), con quei corpi di donne feroci, verdi come rettili pronti all’attacco, sono come una scarica elettrica che è difficile dimenticare. È una che passa dall’immaginario all’azione. Di una classe superiore la fantasia di Fischli e Weiss con le loro centinaia di statue in plastilina, bizzarre creature che arrivano a cogliere le cose per percorsi che non t’aspetti (una per tutti: Herr and Frau Einstein shortly after the conception of their son, the genius Albert 1981).

3. Dal groviglio dell’immaginario umano spesso escono immagini insipienti, tutte calligrafiche ed educate, di outsider che si capisce perché sono rimasti tali. A volte però la mente (e la mano) umana sputa fuori forme selvagge, come compattate e plasmate da una prolungata occlusione. È la scultura a dare a tratti le cose migliori del percorso della Biennale: bella quella paurosamente antidiluviana di Cuoghi. Ma rombante e selvatico anche il popolo di pietre di Hans Josephshon (russo, 1920) o le meteoriti incatenate di Phyllida Barlow (inglese, 1944). Una fisicità che alla fine inghiotte l’esoterismo da sottoscala.

4. Il Padiglione Vaticano delude. Troppa preoccupazione di stabilire un discorso invece che di dare spazio ad esperienze. Troppo controllo della sceneggiatura, che alla fine neutralizza la poesia dei singoli. Si è andati sul sicuro, in fondo mettendosi un po’ su un pulpito e proponendo autori inattaccabili sotto ogni profilo. È un padiglione che si preoccupa di dar risposte invece che di accendere domande.

5. In conclusione, faccio mia una giustissima frase che mi ha mandato Paola M. in una mail in cui mi esterna tutte le sue perplessità su questa Biennale. È di don Michele Attanasio, nel suo libro Con gli occhi della sposa: «Il mistero non è l’inconoscibile ma l’infinitamente conoscibile». Ne farei un telegramma a Gioni, in piena amicizia (e anche a don Ravasi).

Written by gfrangi

Luglio 16th, 2013 at 9:59 pm

3 Responses to 'Biennale 2013. Cinque pensieri'

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  1. grazie. Questa frase sul mistero l’ho citata perché racconta una svolta avvenuta di fatto nella mia vita. E può generare una svolta nella cultura moderna. Da un aggirarsi meandrico (proprio di antichi e moderni paganesimi) ad un procedere fervente con una direzione e una speranza, toccando le piaghe. Nell’arte e nella vita. Solo una piccola correzione sull’autore della citazione: d.Gianluca Attanasio “Con gli occhi della sposa”.

    paola

    18 Lug 13 at 8:52 pm

  2. So che di questi tempi non è molto cool mettersi dalla parte di un cardinale di curia. Men che meno del cardinale Ravasi. Ma questa volta penso valga la pena stare dalla sua parte. Per almeno un paio di motivi. 1) Valeva la pena andare alla Biennale per dare un segnale al mondo dell’arte che conta. E il segnale è: vogliamo confrontarci con i grandi artisti di oggi. 2) In questo caso aver scelto artisti inattaccabili è un pregio anziché un difetto. E qui il segnale è verso la Chiesa: è questo il livello minimo al di sotto del quale non vogliamo scendere. Basti pensare alla mostra senza capo né coda (nonostante alcuni grandi nomi) realizzata nel 2011 per il 60esimo di sacerdozio di Benedetto XVI: qui il salto si sente eccome. Porre queste due basi era necessario per iniziare un lavoro che, a Dio piacendo, avrà bisogno di molto tempo e non è detto che darà esiti positivi e duraturi.
    Poi sono d’accordo con te sulla “verbosità” del progetto. Il sospetto che la tripartizione “creazione, de-creazione, ri-creazione” sia posticcia è palpabile. Ma io penso che questo, grosso, sospetto non possa oscurare i pregi detti prima.

    Luca Fiore

    22 Lug 13 at 2:27 pm

  3. Sono d’accordo se imposti il discorso sull’opportunità meno se lo imposti sul senso. Era opportuno che il Vaticano entrasse in un contesto così senza strafare né mettendois di traverso. Non ha molto senso, però, fare tutto questo trambusto per declinare un percorso se mi permetti molto banale, aldilà della qualità degli artisti convocati. Comunque è un padiglione che finirà negli annali (cosa positiva) ma certo non passerà alla storia…

    gfrangi

    23 Lug 13 at 8:26 am

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