Robe da chiodi

Modigliani e l’occhio di dentro

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Modigliani, Ritratto di Leopold Zborowski

Modigliani, Ritratto di Leopold Zborowski

Giovedì visita alla mostra di Modigliani. Non tanto per vedere la mostra ma per gettare uno sguardo sulla triade Utrillo, Modigliani, Soutine (la mostra è un po’ farraginosa nel suo insieme, con un carico di artisti minori che aggiungono davvero poco: meglio sarebbe stato sviluppare anche didatticamente le sezioni dei tre protagonisti; ad esempio avrei portato, magari isolandoli i due Mosigliani stupendi delle raccolte milanesi, molto utili per capire e completare il contesto) . Tutt’e tre praticamente coetanei (1884 il livornese, 1883 gli altri due), tutt’e tre borderline che di più non si può, tutt’e tre disallineati e indifferenti rispetto alle grandi correnti che come scriveva Anna Achmatova, amica di Modì, stavano facendo ribollire il secolo. Ma mentre la biografia incide nel corpo della pittura di Utrillo e Soutine, non così si può dire di Modigliani. La folle irrazionalità che ne contraddistinse la vita, resta ai margini dlele tele, non intacca la sua pittura. Quindi per guardare Modigliani bisogna dimenticare l’infinita aneddottica cresciuta sulla sua figura di deracinés. (abbondantemente coltivata invece nel catalogo della mostra; un catalogo in cui mancando le schede dei quadri, mancano quelle informazioni essenziali che sarebbe giusto e più utile trovare. Ad esempio chi era quel “Lapoutre” – riportato senza neanche nome di battesimo – ritratto da Modì? Ovviamo alla dimenticanza: era Constant Lapoutre un corniciaio che lo aveva anche sostenuto). L’equazione Modì-maudit è da prendere con le pinze.
Tornando al tema dei ritratti, aveva scritto bene Alberto Boatto: «L’unico individuo che vi traspare veramente è sempre solo Modigliani. Nell’Europa uscita distrutta dalla guerra, questo ebreo toscano parigino intende affermare sommessamente che esiste ancora un’aristocrazia dello spirito, affiancata da un’aristocrazia del libero artista». L’aristocrazia di Modigliani passa attraverso la sintesi suprema e insieme assolutamente moderna della linea, come fosse un Pollajolo redivivo. Una linea che ha acquisito anche una energia architettonica, grazie al duro e stupendo noviziato nella scultura (tra le prime cose che Modì espone a Parigi sono sette sculture al Salon d’Automne del 1912). Non a caso Lionello Venturi aveva disegnato un arco della pittura italiana, titolando un suo libro “da Caravaggio a Modigliani”. Insomma siamo completamente dentro l’alveo di una tradizione, che accetta però di confrontarsi senza timori con gli spiriti della modernità. Scrive Venturi: «Questo ritorno alla linea come conduttrice di uno stile è la novità di Modigliani rispetto al gusto dei suoi contemporanei. Si è detto che nel fare ciò si è ispirato ai grandi primitivi italiani, dai Lorenzetti ai Botticelli. Non si può escludere: ma è certo che l’effetto della di Modigliani è tutto diverso da quello della linea antica, proprio perché la soluzione delle esigenze contrastanti è ignota agli antichi maestri. Una volta padrone della sua linea Modigliani crea la serie dei suoi capolavori».
Dentro questo possesso della linea, ovviamente c’è spazio sia per il meraviglioso sguardo incantato sul corpo umano (l’allungamento è adeguamento al senso di vertigine conferito dalla bellezza), sia per lampi profondi ma controllati di inquietudine: è negli occhi che quest’inquietudine s’innesta, pervadendo la pittura senza per altro minarne bellezze e certezza. Notavo che i ritratti in cui Modigliani dipinge gli occhi, rischia di essere più banale, sembra addirittura fisicamente restringersi. Quando invece li cancella, l’immagine sembra dilatarsi con il suo carico di struggimento e di mistero. Gli occhi cancellati sono due fessure verso l’interno non verso l’interno: occhi che si guardano dentro. Ma in quello che è forse il suo capolavoro (per me), il Ritratto di Paul Guillaume, esposto a 100 metri da Palazzo Reale, nel Museo del 900, un occhio c’è e l’altro è vuoto. Quando Guillaume gliene chiese la ragione Modigliani rispose così: «Perché con un occhio guardi il mondo e con l’altro guardi te stesso». Cosa si veda guardando se stessi è la grande questione che Modigliani lascia sospesa, e non sai se sia una spada di Damocle sul destino o non forse una grazia inattesa…

Written by gfrangi

Giugno 4th, 2013 at 4:50 pm

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One Response to 'Modigliani e l’occhio di dentro'

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  1. gli occhi dei ritratti di Modì sono proprio quella finestra che ci fa amare gli uomini e le donne rappresentate. È un “entrare dentro” che ci mostra tutta la bellezza dello spirito umano, in grado di farci innamorare di quelle stesse persone per le quali il suo stesso amore era all’origine dei suoi ritratti.
    http://assolocorale.wordpress.com/2013/02/08/jeanne/

    luigi

    13 Giu 13 at 6:17 am

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