Robe da chiodi

Ultimissima su Picasso

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Questa sera ultima visita guidata a Picasso. È stata anche per me un’esperienza, perché il cercare di spalancare alle persone l’orizzonte vero di Picasso diventa un esercizio che costringe a capire meglio e ad avere più chiare le idee in testa.
Mi sono mosso su due linee. Una più aneddotica: scandire le stagioni di Picasso seguendo il filo dei suoi rapporti con le varie donne della sua vita. C’è una relazione tra l’operare artistico e questi amori che non è da sottovalutare: ogni donna suscita in Picasso un approccio diverso alla realtà. La sala ipersensusale della mostra milanese con i nudi di Marie Thérese Walter parla da sola (diceva Hockney che Picasso per aver dipinto quadri come questi deve aver passato davvero tanto tempo a letto con lei). La passione successiva con Dora Maar provoca un cambio di registro, nella direzione di una drammaticità a tratti quasi ossessiva.

La seconda linea invece è stata quella di insistere molto sugli anni cruciali della genesi e dell’affermazione del cubismo. Una stagione breve, ma oltremodo decisiva. È quella la stagione in cui Picasso combatte la sua vera e decisiva battaglia, dopo la quale si ritroverà forte di una libertà e di una spavalderia che gli permetteranno di andare al galoppo per il resto della vita, facendo tutto e anche a volte il contrario di tutto.
Ma quale fu questa battaglia? Innanzitutto non fu battaglia metaforica, perché i testimoni profondi di quella stagione, Gertrude Stein e Guillaume Apollinaire ne parlano proprio in questi termini. È una lotta ci dicono. Un combattimento. Di una prova eroica scrive addirittura Gertrude. «I grandi poeti e i grandi artisti hanno come funzione sociale quella di rinnovare senza requie l’apparenza che riveste la natura agli occhi degli uomini. Senza i poeti e senza gli artisti gli uomini si annoierebbero rapidamente della monotonia naturale… e ogni ordine svanirebbe», scrive Apollinaire.

Il cantiere delle Demoiselles conferma la drammaticità della prova che Picasso affronta: sono centinaia i disegni e i bozzetti preparatori; sei mesi di lavoro per arrivare a quel quadro che nessuno gli aveva commissionato e che solo doveva far nascere come per obbedire a una spinta che dentro lo dominava («la pittura mi ha sempre preso per mano e mi ha fatto fare quello che lei voleva», diceva Picasso). Picasso deve dare struttura a una visione nuova, vergine cioè contemporanea, della realtà. Qualcosa che non si era mai visto. L’epicentro della battaglia è il corpo; il corpo della donna, in particolare, forza generatrice di vita e polo di irresistibile attrazione. Picasso si taglia i ponti alle spalle, cala quei tendaggi alle spalle delle cinque creature selvagge. Non c’è più una possibilità di rifugiarsi nello spazio comunque sicuro prodotto dalla prospettiva. C’è solo la superficie della tela su cui si gioca tutto.

«Le pose violente delle figure sembrano vogliano rompere lo spazio scialbo del dipinto, si scagliano l’una contro l’altra per ferirsi, come se volessero superarsi reciprocamente in durezza e impeto… Picasso è interessato soprattutto all’intensità corporea» (Werner Hofmann). Vuole arrivare a mettere più oggettività, più realtà dentro la tela: far sì che le forme non siano rappresentazione di quelle presenze, ma siano tutt’uno con esse. Per questo sono forme convulse, spezzate che però per rompere il velo devono emergere con una chiarezza nuova e senza confronti. Sono loro stesse il soggetto del quadro: non un tema, non una narrazione. Loro stesse nel loro bisogno feroce di rompere il velo, di mostrarsi al mondo, di “essere”. Lo sguardo selvaggio delle cinque donne dice questo, parla di una sfida lanciata: dice che non c’è altra ragion d’essere di quel quadro se non mostrare che loro ci sono. Mettono pressione, irrompono senza essere state chiamate. Non c’è più nessuno scollamento tra le forme con cui appaiono sulla tela e le forme che le fanno essere.

La dinamica delle Demoiselles perciò è una dinamica che rovescia i punti fermi. Senza più spazio alle spalle, il loro sguardo di un’intensità selvaggia traccia un punto di fuga che sta fuori dal quadro: è come un proiettile tracciante che perfora lo spazio. Così Picasso embrionalmente concepisce il cubismo, che sarà proprio il compimento di questo ribaltamento. «Non ci si rivolta contro le consuetudini dell’illusionismo per girare le spalle al mondo delle cose; si vuole oltrepassarlo, con un contributo di realtà più grande e più preciso». «Si tratta di portare nel quadro la stratificazione spaziale degli oggetti». «Il corpo, fino ad allora chiuso, viene aperto, comunica con ciò che gli attorno e quel che gli sta attorno entra nella forma chiusa ma ormai spezzata» (Hofmann). Picasso ha consapevolezza di quello che accadendo, che non si tratta dell’invenzione di un nuovo stile “moderno” (sarà questo alla fine l’orizzonte di Braque). Si tratta di aprire un terreno nuovo per la rappresentare (mettere in scena) la densità del reale, in senso libero, aperto, contemporaneo.ù

Come spesso i grandi balzi si generano da intuizioni semplici: è quel che racconta Gertrude Stein, quando dice che Picasso ha l’ambizione di restituire sulla tela lo sguardo proprio di un bambino quando è in braccio a sua madre. Quello sguardo totale che si può generare fissando un particolare; totale perché così ravvicinato (fisicamente e affettivamente). Uno sguardo che genera una visione straordinariamente coerente: perché i quadri della stagione breve del cubismo analitico mostrano una coerenza formale indiscutibile, che sfiora una perfezione. A chi guarda (noi) il compito di inoltrarci dentro quelle immagini, senza la pretesa “passatista” di ricomporle ma inseguendo quella quantità di piani, di prospettive, di strati, di forme. Non c’è più una leggibilità univoca. Ma non c’è una complicazione: il cubismo riduce la molteplicità dei dati visibili a poche famiglie di forme a cui riesce poi ad attribuire una certa realtà: si tratta di cose che “comunicano” tra loro per affinità. Ecco perché alla fine l’approdo è altamente poetico. «La chiarezza che ne accende le forme interne, li fa nuovi oggetti, veri oggetti» (Pasolini su Picasso)

Written by gfrangi

Gennaio 27th, 2013 at 11:25 pm

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3 Responses to 'Ultimissima su Picasso'

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  1. Bello “famiglie di forme”! E anche dire l’importanza delle donne intorno a Picasso. Però anche Braque secondo me è stato molto determinante, molto più di quanto si dica “sui manuali”. Con la sua intelligenza ed eleganza ha dato una sicurezza formale a Picasso proprio quando lui ne aveva più bisogno. Viene da pensare che sia stato così anche a livello di amicizia. Braque con gentilezza e calma lo ha incoraggiato nel modo giusto. Lo dico non in base ai dati biografici, che non conosco, ma guardando le opere dei due. La lotta delle Demoiselles grazie a Braque non va alla deriva nel puro vulcanico, continua a farsi tesa verso una pittura non solo vera perchè brutale ed irrazionale, ma anche perchè bella e osservatrice.

    Beatrice

    28 Gen 13 at 10:03 pm

  2. Hai ragione. Giusto come definisci il ruolo di Braque. Anche se c’è da chiedersi perché B. in fondo non sia mai mosso da lì (cioé abbia fatto del cubisomo e di ciò che ne derivò, uno stile). Mentre per Picasso il cubismo è stato come una catapulta che gli ha fatto attraversare il secolo, dandogli un’energia inimmaginabile.

    Non prederti Morandi all’Estorick. Me ne hanno detto benissimo

    gfrangi

    29 Gen 13 at 12:57 pm

  3. Sì è vero, Braque voleva fissare uno stile e Picasso è tutto l’opposto. Morandi bellissima ma ci devo riandare(in solitudine: ogni incisione è da starci mezz’ora, smontarla e rimontarla). Nino Migliori messo accanto sembra totalmente una schifezza, poraccio! All’Estorick sono sempre molto seri con l’arte moderna, ma con i contemporanei che accostano un po’ insicuri. Però è una bella galleria.

    Beatrice

    3 Feb 13 at 7:24 pm

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