Robe da chiodi

Natale con Agosti. Ballano il bue e l'asino

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rev431771-oriAvevo chiesto tempo fa a Giovanni Agosti di indicarmi un quadro che ai suoi occhi e per la sua storia personale rappresentasse lo spirito del Natale. La sua risposta mi ha sorpreso: «Quando mi hai chiesto quella cosa riguardo al Natale ci ho pensato su un po’. Poi mi è affiorato dalla memoria una Natività di Tullio Garbari, un pittore non troppo amato oggi. È conservata al povero Museo comunale di Arte Moderna di Milano, quindi non lo si può vedere. Ricordo che mi aveva colpito perché esprimeva bene, con semplicità, il senso della felicità del Natale. Era un senso di gioia esplicitamente espressa, una gioia quasi irrefrenabile. Tant’è vero che c’erano gli angeli che ballavano. Ma soprattutto ballavano il bue e l’asino. Quello è il particolare che mi aveva colpito: il Natale per Garbari era quella festa che faceva ballare anche il bue e l’asino!» (cercherò al più presto l’immagine vera).

Written by giuseppefrangi

Dicembre 25th, 2008 at 9:38 am

Michelangelo, la Pietà “atacata insieme"

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376277889_3f9ee50e8cVisita alla Pietà Rondanini con Lucia e i suoi amici. Colpisce l’esattezza critica con cui il notaio Roberto Ubaldini stila l’inventario il 19 febbraio 1564 dei beni di Michelangelo, il giorno dopo la sua morte, nella casa di Macel de’ Corvi: «Un’altra statua principiata per un Cristo ed un’altra figura di sopra, atacata insieme, sbozzata e non finita». «Un’altra figura di sopra»: in effetti Michelangelo sceglie di posizionare Maria sopra uno zoccolo di pietra rialzato. La scelta è spericolata e insolita, perché “goticizza” la scultura. Ma è proprio questo rialzo che permette a Michelangelo di tendere quella linea curva della schiena di Maria, che è la linea portante di questa  scultura (roba da far venire i brividi a Brancusi). Vista dal lato destro si percepisce l’importanza e la bellezza di questo arco tracciato con il marmo. Maria porta e insieme si china. Sorregge e insieme ingloba. Si eleva e insieme scende.
La seconda intuizione critica del notaio è una conseguenza di questa. «Atacata insieme»: le due figure sono come fuse nel marmo, sono un corpo solo. Il punto supermo della Pietà è la condivisione del destino, sembra dire Michelangelo. Non c’è più la separatezza angosciosa della Pietà giovanile di quasi 70 anni prima. La correzione radicale in corso d’opera che Michelangelo realizza, levando la testa del Cristo che cadeva verso sinistra e andandola a ricavare nella spalla destra di Maria, è una vera rivoluzione concettuale. Non è più la Madonna che regge il corpo di Cristo, è la Madonna che si “ataca” al corpo di suo figlio. Quasi lo riprende in grembo. Le gambe perfettamente levigate e tornite, non cadono più a corpo morto, ma sembrano quasi lievitare nell’abbraccio che avviene nella parte alta, incompiuta.

Written by giuseppefrangi

Dicembre 22nd, 2008 at 2:57 pm

Barcelò cade (già) a pezzi

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Non è passato neanche un mese dall’inaugurazione e la “Sistina” di  Miquel Barcelò al palazzo Onu di ginevra cade già a pezzi. La denuncia è partita da un giornale online spagnolo, Libertad digital che ha pubblicato queste foto. Era facile essere profeti: il dilettantismo tecnicio a quanto pare è andato di pari passo con l’insensatezza dell’opera. Quello che è incredibile è la difesa ad oltranza che il Corriere fa del tentativo di Barcelò, con un articolo di Vincenzo Trione ai limiti del ridicolo. Si dice che l’artista spagnolo incarna il rifiuto degli inquadramenti, delle prospettive e delle simmetrie: «Novello Icaro, Barcelò si è bruciato nel suo sogno». Suvvia: diciamo che siamo di fronte a un artista intellettualmente modesto, con poco senso del limite e con una gigantesca quanto disastrosa autostima. Un artista che piace tanto al palazzo, che se lo coccola, come capita agli artisti di regime. Tutto qui.

Per saperne di più: Human Rights Tribune, Libertad Digital

Written by giuseppefrangi

Dicembre 17th, 2008 at 11:28 am

La Sagrada Família, con punto interrogativo

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sagrada-familia-barcelona3Finire o non finire la Sagrada Família di Gaudì? La Spagna, dopo un  appello lanciato da 400 personalità, torna a dividersi. Proviamo a ragionare.

Le ragioni del sì: il popolo la vuole finita; le cattedrali sono sempre state dei cantieri interminabili, portati avanti per generazioni; mai nessun progetto è stato fedele alla lettera ai disegni originali; l’unità formale della Sagrada è comunque garantita dall’intuizione fantasmagorica del suo creatore; non terminarla comporta che la Sagrada non diventi un luogo pienamente di culto e quindi sia ridotta a mero santuario della curiosità; la Sagrada è uno di quei misteriosi “giganti” spuntati senza ragioni apparenti a rendere ultimamente visibile la fede in stagioni di oscurità.

Le ragioni del no: inutile erigere cattedrali per poi trovarsele vuote causa devastante secolarizzazione; il cantiere così come viene condotto è una caricatura di quella che era l’idea originaria di Gaudì; la parte nuova della Sagrada ha sempre più l’aria di un prefabbricato; ciò che nella mente creativa di Gaudì era intrico di mistero, rischia di ridursi a esoterismo spicciolo; la grandezza della Sagrada consiste nella sua drammatica incompiutezza; la cattedrale di Gaudì è un’opera moderna e quindi frutto di un genio tutto individuale: inutile inventarsi la retorica neo medioevale del cantiere corale. (C’è chi dice: anche la cupola di San Pietro venne progettata da Michelangelo ma finita da Giacomo Della Porta, con relativo ritocco dell’idea del genio. Ma il paragone non tiene: là Michelangelo aveva dettato un “verbo” implacabile, capace di plasmare il cervello e la visione di chiunque veniva dopo di lui. Qui Gaudì è un grande isolato. Un genio assolutamente eccentrico rispetto al corso della storia. Nel 1929, appena tre anni dopo la sua morte, a Barcellona, Mies Van der Rohe costruiva il Padiglione tedesco, l’architettura più radicalmente antitetica a Gaudì che si potesse immaginare).

Timidamente: io oso stare dalla parte del no.

Written by giuseppefrangi

Dicembre 17th, 2008 at 12:52 am

Exit Morandi (in mare aperto)

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Nel video che accompagna la bella mostra di Morandi a Varese, è compreso un documento straordinario: è il commiato che Roberto Longhi registrò davanti alle telecamere dell’Approdo il 28 giugno 1964 alla notizia della morte del pittore. Il testo divenne l’editoriale di Paragone  (n. 175) e oggi , con il titolo Exit Morandi, chiude il Meridiano che raccoglie i più importanti scritti di Longhi. Ma è un testo abbreviato da cui è stato espunto un passaggio che invece mi ha molto colpito. Il Longhi televisivo in un inciso parla di una grandezza “non gozzaniana” di Morandi. Forse per rispetto a Gozzano  ha voluto espungere quel passaggio. Ma quell’inciso è una geniale precisazione di geografia critica. Morandi veniva proiettato su una dimensione internazionale («austero viandante la cui “vox clamantis” raggiungeva anche le plaghe più desertiche dell’arte che gli fu contemporanea»).

Written by giuseppefrangi

Dicembre 14th, 2008 at 10:54 pm

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Immaginando il Mantegna estremo

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La mostra di Mantegna a Parigi si chiude naturalmente con l’ultimo capitolo della parabola del grande Andrea. È un capitolo drammatico, quasi punteggiato di angoscia. C’è tra l’altro uno straordinario risvolto aneddottico: Mantegna aveva scelto la cappella di San Giovanni Battista, nella colossale chiesa mantovana di Sant’Andrea, come luogo della propria sepoltura. Nell’atto di concessione datata 11 agosto 1504 si dà via libera al pittore di recintare all’esterno della cappella una piccola zona di terreno, per ricavarsi uno spazio dove costruirsi una cella e poter meditare vicino a luogo che ne avrebbe accolto le spoglie per il resto dei tempi. Nel contratto si dice che a Mantegna era concesso di coltivare, su quel fazzoletto di terreno, anche un orto. Insomma, lì ci viveva, la tomba diventa già la sua casa: una scelta in cui anche la biografia sembra allinearsi, sintonizzarsi alla grandezza creativa di Mantegna.
battesimo Vien da immaginarlo, meditare solitario sul suo declino, sul venire meno delle forze che gli avevano permesso per tutta la vita di tenere teso sino allo spasimo l’arco della propria energia creativa. Ciò che mi affascina di Mantegna è questa sua oltranza espressiva, a volte così determinata feroce da farcelo sentire straordinariamente contemporaneo. È un artista sempre ad altissimo voltaggio mentale: per questo emoziona il pensarlo in quei mesi di rapido declino sentire l’affievolirsi progressivo del segnale creativo, con la mano che trovava dietro di sé input sempre più flebili e offuscati.

Lo straordinario Battesimo per la cappella di San Giovanni Battista nella sua magrezza quasi scheletrica è un quadro fantasma, un lacerto fantastico, con quell’idea del dialogo teso tra Giovanni e Gesù e la figura misteriosa in primo piano con secchiello e corde. La vita sfiancata, vien meno, e intanto il grande Andrea se ne stava lì fuori, nella celletta improvvisata a familiarizzare con il proprio sepolcro.

Written by giuseppefrangi

Dicembre 14th, 2008 at 9:36 pm

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I tabernacoli di Burri

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Per giudicare se una mostra è ben fatta o invece è sciatta basta tener d’occhio alcuni piccoli particolari. Prendete la rassegna che la Triennale ha dedicato a Burri. Gran parte delle opere, provenienti dalla Fondazione di Città di Castello, sono degli ultimi anni. E sono tutti Cellotex, anche nei titoli. Ebbene, vi sfido a trovare anche una sola didascalia in cui si spieghi che cosa sia questo materiale decisivo per il grande maestro umbro.
Intanto rimediamo: il cellotex è un materiale povero, anonimo, di uso industriale: particelle di segatura e colla pressate insieme. Burri vi interviene «spellandone» a tratti la superficie fino a mettere a nudo le fibre, di colore naturale simile alla iuta.
I Cellotex rappresentano un apice di purezza per Burri, perché lo accompagnano verso quella semplificazione estrema cui anelava. Sono supporti e superfici poveri. Ma di una povertà che prepara il campo, con calma, a veri inni di splendore. Il ciclo Nero e oro, da questo punto di vista, parla da solo: quadri, tra i pochi moderni, che non stonerebbero dietro ad un altare. Pezzi di cielo bizantino depositati sulla nuda terra. È un’ascesi francescana quella di Burri, iniziata sui sacchi-saio. E culminata sulla soglia di questi tabernacoli…. Scriveva Emilio Villa: «Burri rende contenuti maestosi con mezzi addirittura trasandati, consunti, acidi… Egli ha il sentore delle materie in disuso… Elabora un’articolata, flessibile, lucida litania».  (nell’immagine Nero e oro, 1993)

burri

Qualche domanda cattiva ai curatori: perché far navigare i piccoli multipli nella grande sala centrale del primo piano? Perché nell’ultima sala dello stesso piano, quella con i meravigliosi quadri estremi orizzontali non sono state messe le didascalie? Perché alcune frasi di Burri sono state ripetute più volte (non se ne trovavano altre?)? Perché non osare una mostra sul secondo Burri, dando una fisionomia più sensata e ragionata a questa mostra?

Written by giuseppefrangi

Dicembre 10th, 2008 at 12:50 am

Quella sfida impropria tra Raffaello e Fontana

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Due interessanti interviste toccano il tema della natura e del destino dell’arte contemporanea. La prima su Repubblica a Richard Sennett, sociologo, autore di un nuovo saggio su L’uomo artigiano. La seconda a Philippe de Montebello, per 30 anni direttore del Metropolitan di New York (dal Giornale dell’arte).

Domanda: Il suo libro è anche una critica all´arte contemporanea, ormai svincolata dalla materialità?
Richard Sennett: «Anche l´arte, come il lavoro, deve ritrovare il suo rapporto con la fisicità, per non rischiare di essere puramente mentale. Lo sa che i lettori più entusiasti di questo libro sono stati proprio i giovani artisti, che hanno un forte desiderio di riscoprire l´aspetto artigianale del loro lavoro, del tutto trascurato negli ultimi decenni? E forse non è un caso che di recente, ad una mia conferenza su Giorgio Morandi, sono accorse centinaia di persone. Morandi era infatti un vero artigiano».

Domanda: Collezionare arte moderna pone delle sfide…
Philippe de Montebello: «Abbiamo preso la decisione di non comperare troppe opere di questa generazione. Ci sarà molto tempo, se qualcuno si affermerà come artista, per comperare le loro opere nei prossimi 50 anni. I principali musei di arte contemporanea di New York sono le gallerie private».

Pensiero: proprio l’altro giorno visitando alla Pinacoteca Tosio Martinengo un accostamento tra contemporaneo e classico (Capolavori in corso, sino al 1 febbraio), si riscontrava l’enorme fatica che il contemporaneo fa nel confronto con l’antico. È una fatica proprio sul piano mentale, come se l’antico alla fine sbriciolasse il contemporaneo proprio per l’energia della propria struttura concettuale (va detto ad onor del vero che la selezione di opere di Foppa – Moretto – Romanino – Savoldo della Tosio rappresentano uno dei più grandi spettacoli che la storia dell’arte possa mettere in campo). L’amatissimo Fontana (Tagli in rosso) sembra paradossalmente “casuale” rispetto all’esattezza del taglio sul costato di Cristo, dipinto da Raffaello. O il confronto era improprio, o il contemporaneo avrebbe bisogno di non essere ridotto a gioco.
Restiamo tutti appassionatamente contemporanei, senza nessuna nostalgia, ma senza creare idolatrie idiote.

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Written by giuseppefrangi

Dicembre 8th, 2008 at 3:26 pm

Caravaggio, rapito dalla realtà

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1162900096bFa specie vedere una coda permanente di gente davanti a Palazzo Marino, a Milano, per vedere l’opera sola di Caravaggio, la Conversione di Saulo. Fa specie anche il silenzio che accompagna l’ultimo tratto di coda, una volta entrati nel grande salone dell’Alessi. È un quadro che inchioda, per la sua logica elementare. Affascina per quel troppo di realtà che riesce a contenere in quei suoi due metri per due. Caravaggio è un grande “svelatore” di realtà, nel senso che la porta a galla con un’energia che non ci si immaginava potesse essere. Dirada le nebbie dagli sguardi, fa scattare la memoria di sguardi sperimentati e poi perduti.

In questo quadro, tanto pieno di energia da risultare quasi convulso e scomposto il Caravaggio sembra proprio lasciarsi divorare dalla realtà. Basta scorrere i particolari per rendersene conto: la torsione violenta del cavallo, con l’occhio saettato di paura; il fogliame acceso d’una evidenza così fisica da venir fuori dal quadro; e poi il mantello rosso di Paolo, di un rosso così goloso che ti vien voglia di arraffarlo. E le mani plebee del santo, impacciate perché desuete a quel gesto di timore e debolezza. E invece la mano di Cristo che scende giù, sicura, a palmo aperto, emblema di un umano al massimo del suo compimento e della sua speranza.
C’è un qualcosa di irresistibile in questo quadro, che lascia la gente in silenzio, a guardare. È la realtà riacciuffata nella sua condizione ed energia originaria. Qualcosa di deflagrante, di inatteso, di sempre vivo.

(Se la gente sta in coda, alla fine si può capire bene il perché. E lasciamo da parte per una volta le spiegazioni schizzinose e snobistiche. E che ciascuno se ne torni a casa con le cartoline messe a disposizione gratuitamente è comunque una bella cosa)

Written by giuseppefrangi

Dicembre 5th, 2008 at 10:53 pm

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Sgarbi copia. Ma copia bene

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botticelliFrancamente non capisco tanta indignazione nei confronti di Vittorio Sgarbi. Ha copiato un saggio su Botticelli, scritto da Mina Bacci per i mitici Maestri del Colore nel 1963 e lo ha riproposto a nome suo per la collana di Skira, allegata qualche anno fa al Corriere della Sera. L’operazione è stata oggettivamente spericolata, perché come mi ricorda Davide Dall’Ombra, i Maestri del Colore vennero tirati in 71milioni di copie, e, a differenza di tutta la mediocre valanga di editoria divulgativa che è seguita, restano ancora orgogliosamente nelle librerie  e fanno la loro bellissima figura nelle bancarelle di mezz’Italia. I Maestri del Colore sono un esempio di cultura civile vera. Dalla semplicità della loro formula, alla qualità davvero stupefacente delle immagini e della grafica, sino alla scelta degli autori chiamati a scrivere i testi introduttivi. Un giorno farò l’indice degli autori, e ci sarà da restare a bocca aperta.
Sgarbi quindi è stato infantile a pensare che il numero 8 della serie diretta da Dino Fabbri, dedicato a un pittore tanto amato come il Botticelli non fosse ancora in circolazione in migliaia  di copie. Ma a merito di Sgarbi dobbiamo dire ha copiato bene e che paradossalmente ci ha fatto riscoprire il testo… di Mina Bacci, allieva di Longhi: un testo cristallino, che aderisce magnificamente al profilo di Botticelli, «questo malinconico, squisito “décadent” del Rinascimento italiano».

O ancora sulla Giuditta degli Uffizi oggi in singolare trasferta a Milano: «La crudele determinazione dell’eroina biblica si è sciolta, nel ritorno al campo, in quell’incedere lento del corpo falcato cui nemmeno il fluttuare delle vesti riesce a conferire un tono drammatico». Ridiamo alla Bacci quel che è suo.

Written by giuseppefrangi

Dicembre 3rd, 2008 at 7:44 pm