Robe da chiodi

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Ancora su Ballarin. Contro la tracotanza dei documenti

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Dal libro di Ballarin su Leonardo a Milano mi sono segnato questa riflessione, pagina 256, a conclusione del saggio sul Ritratto di Cecilia Gallerani (la Dama con l’ermellino).

«Da una parte vedo una disinvoltura, che a volte si esprime con toni di tracotanza, nel mettere sul tavolo i dati storici e documentari, in qualche caso neppure completi, e senza neppure avere fatto il possibile per comprenderne il significato, e comunque sempre con la presunzione di una loro assolutezza, di una loro autosufficienza rispetto alla serie dei documenti figurativi; dall’altra si capisce che lo storico dell’arte non si ritiene più capace, partendo dal documento figurativo correttamente acquisito in campo ad un’analisi formale dell’opera iuxta propria principia ed in relazione al contesto delle altre opere di quell’autore e delle opere degli altri autori che gli stanno intorno, di interferire nella serie storico-documentaria, verificandone la completezza e la plausibilità delle informazioni, interrogando il vuoto che per solito circonda la puntualità del dato archivistico, cioè il tanto non detto – perché interrogarsi sul che cosa il documento non ha detto è il modo migliore per capire il poco che ha detto -, inducendo eventualmente il ricercatore d’archivio ad un nuovo controllo della serie stessa, ed infine, se questo è il caso, procedendo autorevolmente per conto proprio, contro la stessa documentazione archivistica, nella costruzione del risultato».

Postilla: la pagina (241) in cui Ballarin legge l’opera lasciando sullo sfondo i documenti, è una pagina di straordinaria bellezza e un vero “affondo” nella grandezza di Leonardo.

Written by gfrangi

Agosto 21st, 2011 at 10:50 pm

Il Leonardo di Ballarin, un libro che è come un mondo

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Ho approfittato della sosta ferragostana per una lettura che durante l’anno sarebbe complicata: il Leonardo a Milano di Alessandro Ballarin. Ovviamente è solo un inizio di lettura di un’opera immensa (quattro volumi, 2900 pagine, 2700 illustrazioni, 22 chili di peso…). Ho letto le 200 e passa pagine dedicate alla questione delle due Vergini delle rocce e la prima parte della Corte e il castello. È raro che la lettura così specialistica riesca a prendere l’attenzione anche di un non specialista. Ballarin attorno a questa vicenda, che fotografa un momento straordinario della vita di Milano ma non solo di Milano, avanza con una completezza di sguardo che lascia stupefatti. Non lresta inevaso niente e non restano zone d’ombra nel suo percorso. Se è il caso apre capitoli di dimensioni tali che da soli costituirebbero affascinanti saggi (ad esempio quello sul battistero di san Johannes ad fontes a Milano, che sorgeva dove poi Azzone costruì la cappella palatina – oggi san Gottardo in Corte: affondo importante per scavare nelle ragioni e nell’iconografia della prima Vergine delle Rocce, quella parigina. Qui il significato battesimale è molto esplicito).
Ma ci sono due aspetti dello “stile Ballarin” che da profano non specialista mi piace sottolineare. Primo, la scelta di procedere senza note. Tutto è testo, e tutto è necessario. Una scelta inedita, ma che non inficia la leggibilità del testo: infatti il contenuto delle note sono trasformati in incisi che scorrono nella lettura senza soluzione di continuità. La scelta è dettata dall’idea che tutto è necessario per arrivare a uno sguardo completo sulla vicenda. Ma la scelta credo sia motivata anche da un altro fattore, che coincide con la seconda osservazione che da profano mi sento di fare. Si avverte leggendo che Ballarin, mentre scrive, ha davanti una platea di studenti e deve rendere ragione loro, ad ogni passo, delle tesi che presenta. Non c’è spazio per le note mentre si fa una lezione… E Ballarin da questo punto di vista si dimostra un maestro perfetto che usa uno stile piano, un andamento persuasivo, che non lascia ombre nei suoi interlocutori, anche se chiede loro la pazienza di seguirlo nei percorsi che non conoscono scorciatoie. Porta i suoi interlocutori dentro “quel” mondo, passo dopo passo, pensiero dopo pensiero. Mi piace, ad esempio, come a volte gli capiti di infilare nel testo raccomandazioni che sono proprie da “maestro”. Ne ho in mente due.
“Chiunque a proposito, dovrebbe conoscere le pagine nelle quali Pier Desiderio Pasolini, scrivendo dell’adolescenza di Caterina Sforza, racconta l’assassinio del padre, quel giorno, attingendo ai testimoni oculari ed alle fonti: pagine di bellissima scrittura e di forte tensione drammatica” (pag. 293; Caterina è figlia di Galeazzo Maria Sforza, il primogenito di Francesco, ucciso nel 1476).
“… rimando il lettore alla lettera 426 della citata raccolta di Rubinstein, del 18 settembre ( 1479) al medesimo Morelli, dove Lorenzo (il Magnifico), ancora febbricitante per un attacco di terzana, svolge una serie di riflessioni generali sulla nuova situazione che si è venuta a creare a Milano e in Italia con il rientro di Ludovico a Milano. È una pagina che dovrebbe essere antologizzata nei manuali di storia e che tutti dovrebbero conoscere. È una sapienza politica che egli spera di poter mettere a disposizione di Ludovico attraverso il suo ambasciatore” (pag. 285).

Written by gfrangi

Agosto 16th, 2011 at 1:29 pm

Il “pollastrone" di Leonardo

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Il San Giovanni Battista arrivato dal Louvre sin nell’anticamera della Moratti, aveva fatto la stessa strada proprio 70 anni, in occasione della mostra su Leonardo e le invenzioni italiane volute dal fascismo nella sua versione più lombarda e fattiva (alla Triennale). Allora tra i visitatori ci fu un attento e meticoloso Carlo Emilio Gadda,  che ne trasse un saggetto (pubblicato in appendice a Verso la Certosa). La mezza paginetta dedicata al San Giovanni Battista è un assoluto vertice critico oltre che letterario (onore agli organizzatori dell”one painting show” di Palazzo Marino, per aver messo in esergo al catalogo questa spregiudicata e chirurgica diagnosi gaddiana).

«.. e finalmente il celeberrimo Battista, l’equivoco e dulcoroso pollastrone che segnerebbe il culmine del processo astrattivo, platonizzante del divino Leonardo. L’ascesi si spoglia d’ogni brama, e d’ogni possibilità di brama, che non abbiano indirizzo celeste. Ma in luogo di pelle ed ossa, le rimane attaccata una tal quale floridezza, dirò meglio una discreta dose di ciccia. Questo Bacco angelizzato privo di polarità sessuale, accostatosi all’ultimo momento alla sua croce-idea, ci appare davvero in una fattura, in un’ombra stupenda: l’analisi delle quali è stata ampia e infinita da parte della critica; che vi vede fra l’altro, il punto d’arrivo; la prova-limite della tecnica del chiaro-scuro».

Chapeau. Poco da aggiungere: il “pollastrone”, più che indicazione ironica sembra sottolineatura inquietante. Il Battista di Leonardo è creatura metamorfica. Il dito puntato verso il cielo comunica un che di ambiguo. È un’eresia se dico che è lì lì per trasformarsi nella zampa di un demone? Io, seguendo Gadda, preferisco il Leonardo ingegnere al Leonardo mago.

Written by giuseppefrangi

Dicembre 1st, 2009 at 11:47 pm

Il pulviscolo di Leonardo

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Il Cenacolo secondo Greenaway. Una lettura doppia azzeccata, a conferma dell’imprendibilità e dell’ambiguità suprema di Leonardo. Da una parte l’architettura drammatica, la struttura dell’attimo che segue la rivelazione del tradimento. La frustata di sconcerto. Una costruzione perfetta, tesa, paurosamente oscillante. Quasi una costruzione  “ad onda”. Dall’altra parte il sorvolo della superficie pittorica, la telecamera inghiottita, il precipizio cosmico che si spalanca sotto le particelle di pittura. L’energia della costruzione si dissolve. E riaffiora come pulviscolo condensato per una fragilissima casualità.

Written by giuseppefrangi

Settembre 8th, 2008 at 8:28 pm

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